Presentiamo la figura di un antropologo scozzese, uomo tutto d'un pezzo, ruvido ed essenziale che ha dato spunti anche alla ricerca psicologica di Freud sul disagio della Civiltà. La sua ricerca, senza ombra di dubbio, unita al suo immenso amore per tutte le civiltà, usi e costumi dei popoli del Mondo, ci ha presentato, anche con i limiti dell'uomo, culture e genti ancora sconosciute all'alba del XIX Secolo.
Ugo Arioti
Frazer (1854 - 1941) è uno scozzese
studioso di antropologia che ha lasciato un numero enorme di scritti sul
folklore dei popoli primitivi. E noto come per tutto l’arco della sua vita
abbia affrontando approfonditi studi sociologici sul totemismo, sulle usanze
delle popolazioni dell’Australia, dell’Africa e del nord America, portando a
conoscenza del mondo occidentale usi e tradizioni pressoché sconosciute. Il suo
personale senso di evoluzione lo porta a considerare la storia della cultura
umana secondo stadi di successive fasi di sviluppo, dalle più arcaiche e
primitive a quelle più evolute, insomma un percorso che, partendo dalla magia,
passa attraverso la religione per arrivare alla scienza. Per questo suo modo di
concepire l’evoluzione, viene aspramente criticato: Alfonso Di Nola valuta
questo modo di vedere le cose come "un’utopia ottocentesca scatenata dalle
teorie biologiche di Darwin, segno di incomprensione della cultura e di un
eccessivo tentativo di storicizzazione dei dati che esclude ogni scala di
valori delle diverse culture". Wittgenstein scrive:
Il modo in cui Frazer rappresenta le
concezioni magiche e religiose degli uomini è insoddisfacente perché le fa
apparire come errori. Quale ristrettezza della vita nello spirito di Frazer! Quale
impossibilità di comprendere una vita diversa da quella inglese del suo tempo!
Tanto Wittgenstein che Di Nola peccano di
un malsano buonismo, oramai dilagante nel nostro secolo. Certamente Frazer non
ha mai disprezzato alcuna civiltà, anzi ha dimostrato di amarle tutte molto più
profondamente di chiunque altro e proprio per questa sua sensibilità non ha
commesso l’errore di valutare sé stesso quale rappresentante ultimo e perfetto
di un generico processo evolutivo! Ha solo avuto la grande intuizione, grazie
alla quale non può certo essere considerato inferiore a Darwin, che evoluzione
significa "andare oltre"...oltre la magia, oltre la religione, oltre
la filosofia, oltre la scienza, oltre l’uomo. Non possiamo dunque rimproverare
a Frazer l’uso del termine "primitivi" dato a certe società, cari
signori Wittgenstein e Di Nola, perché non possiamo nascondere ai nostri occhi
che, se abbiamo dinanzi esempi splendidi di civiltà antiche, dobbiamo anche
riuscire a prendere atto che alcuni popoli, esempio quelli di razza nera, in
millenni di esistenza non sono riusciti a produrre niente che si avvicini ad
una organizzazione sociale evoluta, senza naturalmente togliere niente ai
negri. Primitivo è dunque sinonimo di non cambiamento, di non superamento di sé
e quindi di non evoluto. Molti di coloro che nel nostro secolo hanno vissuto il
’68 ricorderanno che in quegli anni all’Università, all’ esame di Biologia
delle razze umane o di Etnologia, non si poteva nemmeno osare di proferire la
parola "primitivo"! Nessuno osava allora definire primitivi i
Derbici, antichi abitanti dell’attuale Iran che coltivavano l’usanza di
uccidere gli uomini che avevano superato il settantesimo anno di età e che poi
se li mangiavano, e che alle donne anziane veniva serbata la sorte di venire
strangolate e sepolte! Molti si riempivano la bocca con la parola
"cultura" parlando dei Caspi, che facevano morire di fame i vecchi, o
di tanti altri popoli sciamanici che gettavano in pasto ai cani malati e
anziani, quando non decidevano di legare i morti per i piedi e per i capelli
per farli sbranare dagli avvoltoi sulle cime più alte della loro amata patria!
Con tutto il rispetto e la comprensione per questi riti, c’è qualcuno che
oserebbe dire che tra quei tempi e i nostri non c’è stata un’evoluzione della
specie nel senso del "superamento" di questi riti più o meno magici
attraverso la loro trasformazione in forme prima simboliche religiose e poi in
sistemi filosofici complessi ? Certamente tutti sono in grado di capire un
concetto tanto elementare, ma è certo più bello meno faticoso e più conveniente
farsi vedere buoni, magnanimi tanto da giustificare tutto, persino l’omicidio.
E’ così che si è riusciti a mantenere per tanto tempo in vita civiltà tanto
retrograde e depresse, perché solo attraverso la loro arretratezza è stato
possibile l’espandersi di una politica di imperialismo. Ci si è sempre guardati
bene dal dare a questi popoli una vera dignità di vita, ci si è sempre limitati
a fornire loro al massimo un po’ di cibo o qualche tonnellata di farmaci
scaduti. Nel nome della salvaguardia della cultura e delle tradizioni, si sono
inventate vere dottrine sui destini nazionali tutte miranti alla salvaguardia
di quello stato di primitività che ha consentito la nascita di imperi
miliardari al servizio di concreti interessi economici di certe attività e di
certe professioni. E adesso, anche ai giorni nostri, si continua a fare a gara
a chi è più "buono" nel senso più spregevole del termine, a chi è più
abile a giustificare gli assassini che lanciano sassi dai cavalcavia, a chi è
più abile nel raccontare che i popoli primitivi non DEVONO essere chiamati
primitivi, perché così si dimostra agli altri quanto si è migliori, poveri
"buonisti", comprensivi di tutto fino alla stupidità. Frazer ai suoi
tempi di questa ipocrisia non se ne fa un problema e fa una dettagliata
rassegna della posizione religiosa che i re occupano nelle società che continua
a chiamare "primitive" e non gli sfugge che questo è un ingegnoso
mezzo per la dominazione dei sudditi: certamente non gli sfugge nemmeno, anche
se non lo dice esplicitamente, che questa situazione si ritrova immutata nei
grandi imperi del suo tempo, basta ricordare il patto stipulato fra Stato e
chiesa durante il congresso di Vienna. Frazer affronta con grande profondità,
spirito di osservazione e senso critico, il tema dei tabù, ossia tutta quella
serie di norme da osservare per allontanare in modo scaramantico, il pericolo o
perlomeno la sensazione che si ha di esso. Ad esempio, considerando che tra i
popoli primitivi vi è la credenza che se un uomo vive e si muove, ciò può
avvenire solo perché dentro di esso c’è un piccolo animale che lo fa muovere, e
tale "spiritello" è detto anima. E come l’attività di animali e di
uomini si spiega con la presenza di questa anima, così il sonno o la morte si
spiegano con la sua assenza. Per le comunità primitive dunque l’atto del
mangiare o del bere presenta gravi pericoli, perché è in quei momenti che
l’anima può fuggire dalla bocca, ecco dunque tutto un fiorire di tabù su cibi e
bevande. Non parliamo poi dei tabù legati alla sessualità, norme suggestive e
fantasiose aventi tutte lo scopo di garantire all’uomo la paternità: i tabù
sessuali dunque hanno la stessa funzione che ritroviamo esercitata in modo
molto più naturale in tutti i rappresentanti maschili di tutte le specie
viventi. La consuetudine poi di assumere cibo come corpo di un Dio era
praticata dagli Aztechi molto prima che gli spagnoli conquistassero il Messico.
Anzi sembra che l’uso di sacrificare il rappresentante umano di un Dio non
abbia mai avuto tanta diffusione e solennità quanta ne ebbe in questo popolo.
Conosciamo bene questo rituale, ampiamente descritto dai conquistatori spagnoli
del XVI secolo, incuriositi da quella religione apparentemente incivile, ma in realtà
tanto simile alla loro dottrina e ai riti della loro religione cattolica.
Essi sceglievano un prigioniero e, prima
di sacrificarlo ai loro idoli, gli davano il nome di quello al quale era
destinato, abbigliandolo allo stesso modo e dichiarandolo suo rappresentante. A
volte per sei mesi, a volte per un anno lo riverivano e lo adoravano e in quel
lasso di tempo mangiava, beveva e se la spassava. All’epoca della festa, quando
si era fatto grasso, lo uccidevano, lo squarciavano e divoravano le sue carni come
solenne pasto sacrificale.
Secondo il monaco francescano Sahagun,
l’uomo Dio veniva immolato a Pasqua: in quell’occasione il Dio moriva nella
persona del suo rappresentante umano per rinascere in un altro, anch’egli
destinato per un anno a godere del funesto onore per poi fare la stessa fine
del suo predecessore. E’ innegabile che tutto ciò corrisponde alla festa
cristiana per la morte e la resurrezione del Redentore.
Freud (1856 - 1939) in quanto esploratore
delle profondità psichiche e psicologo dell’istinto, si inserisce a pieno
titolo tra quei scrittori dell’ottocento che scuotono il sentire comune. In
questa sede ci interessano poco gli urti creati dalla psicanalisi nella
polemica sulla sua scientificità e ci interessano poco anche i virtuosismi di
Jung, Adler, Fromm e di tutte le scuole di pensiero che derivano dalla
elaborazione del pensiero di Freud. Non ci preoccupiamo nemmeno di chiederci se
in campo applicativo le teorie di Freud e della psicanalisi in genere debbano
ritenersi valide considerando che per curare una nevrosi possono necessitare
anni di "terapia". Quello che ci interessa invece è considerare come
i suoi studi storico - religiosi - psicoanalitici arrivino a condizionare il
costume di tutta l’Europa. Frazer e Freud sulla scia di Darwin forniscono
all’uomo uno specchio inconsueto che fa sorgere dubbi forti sulla sua vita, in
fondo molto più primitiva di quanto si possa immaginare. Freud elabora le
osservazioni di Frazer nei suoi studi psicanalitici modellando le idee di tabù
e di pratiche religiose partendo dall’esperienza della patologia individuale,
ossia partendo dall’individuo e dalle sue dinamiche inconsce, arriva a spiegare
i fenomeni sociali e collettivi.
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