venerdì 28 marzo 2014

L'Etica della Terra ( argomento 2014)

 

Ancora oggi la nostra specie non è di fatto considerata una parte della Biosfera, ma come un elemento esterno rispetto al quali si misura ogni valore Oggi sappiamo abbastanza bene che cosa è l’uomo: è un animale, fa parte in tutto e per tutto dei cicli naturali, si nutre, si sviluppa, si riproduce e muore come gli altri mammiferi. Anche il suo comportamento è qualitativamente riconducibile a quello degli altri animali più simili. La differenza di informazione genetica rispetto a uno scimpanzé è di poco superiore all'uno per cento. La percezione dell’appartenenza della nostra specie alla Natura avrebbe dovuto essere accolta con grande serenità; era come liberarsi da un peso inutile. Invece non è stato così, o forse non ancora, almeno nella cultura occidentale. Nel linguaggio corrente, nell'etica, nel diritto, l’uomo è ancora considerato in contrapposizione con l’idea di animale.
Per inciso, quanto sopra detto non significa necessariamente che l’uomo sia soltanto un animale. Nella cultura occidentale, e quindi ormai in tutto il mondo, ancora oggi la nostra specie non è di fatto considerata una parte della Biosfera, ma come un elemento esterno rispetto al quale si misura ogni valore. Tanto è vero che l’espressione “l’ambiente” sottintende spesso “l’ambiente dell’uomo”, che resta l’unico riferimento per tutte le considerazioni etiche. Anche i cosiddetti ambientalisti parlano di solito di “tenere pulita la nostra casa”, conservare il “patrimonio di tutti”, consegnare la Terra in buono stato alle generazioni future. Il riferimento costante, considerato ovvio, è l’uomo. Oggi invece sappiamo che l’uomo non è nella posizione di “abitante di una casa”, ma è come un gruppo di cellule di un Organismo, da cui dipende totalmente. Infatti l’ecosistema globale è un Organismo e non “l’ambiente dell’uomo”: questa posizione della nostra specie deve ancora essere recepita dalle correnti filosofiche occidentali, oltre che da tutte le istituzioni.
La posizione “esterna” dell’uomo, esportata in tutto il mondo sull’onda della tumultuosa espansione dell’Occidente, è il sottofondo di pensiero che ha provocato i grossi guai in cui ci troviamo. Considerare l’uomo al di sopra o al di fuori dell’ecosistema ha causato anche il drammatico aumento di popolazione umana e la spaventosa crescita dei consumi che hanno caratterizzato gli ultimi due secoli. Il funzionamento della Biosfera Per usare il linguaggio della teoria dei sistemi, un essere vivente è un sistema che si mantiene in situazione stazionaria lontana dall’equilibrio termodinamico. In altre parole, vive finché un flusso di energia lo attraversa continuamente senza che si alterino le sue condizioni generali, se si trascurano le piccole oscillazioni attorno ai valori standard. Il vivente è un sistema omeostatico, cioè è in grado di mantenersi nelle condizioni vitali auto correggendo le variazioni accidentali non troppo grandi attraverso interazioni fra tutti i suoi sottosistemi, componenti e flussi energetici. La Biosfera nel suo complesso si comporta come un sistema vivente, anche se in generale su tempi più lunghi. Si noti che questo discorso è indipendente dalle considerazioni, di natura metafisica, se sia un essere vivente (Gaia), se sia sede di fenomeni mentali e - in tal caso - fino a che punto sia cosciente. Anche un ecosistema, ad esempio una porzione abbastanza grande ed inalterata di foresta pluviale equatoriale, si comporta come un sistema stazionario lontano dall’equilibrio, cioè come un essere vivente. Quando uno di questi sistemi perde le sue capacità di omeostasi per un intervento esterno troppo drastico, si ha la morte dell’essere vivente, o comunque la fine del sistema in quanto tale.
I tempi e la gravità degli interventi in grado di provocare fenomeni di questo tipo sono naturalmente molto diversi a seconda del sistema interessato. La cultura occidentale, considerando l’uomo al di fuori della Biosfera, ha reso possibile l’aggressione alla Natura che è iniziata da un paio di secoli, cioè da quando si è data il potere tecnico per farlo. A causa del modo di funzionare di questo modello culturale che sta invadendo tutta la Terra, le capacità omeostatiche complessive del Pianeta non sono più in grado di riportarlo in condizioni stazionarie. Inoltre molti ecosistemi vengono distrutti e non possono essere sostituiti con altri “artificiali”, perché questi ultimi dipendono spesso da interventi permanenti esterni per essere mantenuti in condizioni vitali. Come esempio, non possiamo illuderci che la riforestazione riporti in vita la foresta originaria: è meglio di niente, ma non può sostituire la ricchezza di vita e di spiritualità di una foresta naturale. In realtà la Terra è stazionaria solo se si considerano tempi dell’ordine di decenni, o secoli, non lo è più se consideriamo tempi dell’ordine di milioni di anni: il problema sta nel fatto che le modifiche causate dalla civiltà industriale nei cicli naturali hanno velocità dieci - centomila volte più grandi di quelle normali, che consentono alla vita di adattarsi gradualmente alle nuove situazioni. Usando un linguaggio non rigoroso, in natura è come se si passasse da una situazione stazionaria ad un’altra, senza transitori “pericolosi”. Comunque, agli effetti delle considerazioni qui esposte, è come se la Terra vivesse in situazione realmente stazionaria.
Oggi ci troviamo durante un transitorio “veloce”: il modo di procedere attuale non può durare a lungo. Quindi è probabile che molti parametri che caratterizzano ora il sistema globale non possano essere mantenuti se la Terra si riporta in situazione vitale. In particolare è abbastanza evidente che l’attuale popolazione umana esistente sul Pianeta è eccessiva per consentire alla Biosfera di funzionare, con un livello medio di consumi pro-capite pari a quello attuale. Sistema economico e popolazione umana Il sistema economico, cioè il processo di produrre-vendere-consumare, si può ricondurre ad un’unica variabile, il denaro. Il sottosistema economico non può funzionare in un sistema complesso e stazionario lontano dall’equilibrio, come la Biosfera, che dipende da un gran numero di variabili. In sostanza il processo economico impedisce l’omeostasi della Biosfera: il sistema complessivo cessa di essere stazionario. In un vivente questo corrisponde alla morte dell’organismo. Se poi consideriamo che il sistema economico attuale per mantenersi deve essere in crescita, a maggior ragione risulta chiaro che è incompatibile con il funzionamento del sistema più grande di cui fa parte. Un’economia complessivamente in crescita può soltanto essere un transitorio, un fenomeno patologico nella Biosfera, che porta necessariamente verso un punto “di catastrofe”. Questo è un elemento di ottimismo: il vero pessimismo è prevedere la continuazione degli andamenti attuali, che portano ad un mondo degradato, alla scomparsa della biodiversità, a psicopatie e criminalità, alla fine della varietà e della bellezza del mondo. L’uomo non evita mai le catastrofi, ma ne guarisce: speriamo che sia vero.
È sorprendente notare che esistono ben poche ricerche su un problema come quello del numero massimo di umani che la Terra può sopportare: ad esempio, nello studio riportato nel libro Assalto al pianeta di Pignatti e Trezza (Bollati Boringhieri, 2000) si parla di una popolazione ammissibile inferiore ai due miliardi di individui, in accordo con i valori di una ricerca effettuata all’Università Cornell. In una delle proiezioni ipotizzate nel famoso rapporto I limiti dello sviluppo si perveniva ad una situazione stazionaria solo stabilizzando la popolazione mondiale attorno al 1975, il che corrispondeva ad un numero di umani di poco inferiore a quattro miliardi, con un livello di consumi medio pro-capite minore di quello attuale. Sei miliardi di umani possono stare sul pianeta solo per tempi molto limitati, perché vivono e consumano “divorando” la Terra. Al di là di considerazioni numeriche, è comunque abbastanza evidente che, se si vogliono aumentare i consumi pro-capite, è necessario diminuire la densità di popolazione umana. Potrebbe essere un compito della scienza valutare se un prodotto può essere realizzato e in quale quantità senza mettere in pericolo il funzionamento vitale della Terra. Come esempio, è presumibile che, se si vogliono costruire e far circolare auto private con motore a scoppio, la popolazione mondiale debba essere molto inferiore al miliardo di abitanti, ipotizzando un’auto per famiglia. Competizione e selezione Una delle concezioni di fondo della nostra società è l’idea che competizione e selezione siano una specie di “molla del progresso”, anzi siano addirittura il modo di evolversi della vita. Quando, verso la metà dell’Ottocento, comparve l’idea dell’evoluzione biologica, furono messe in grande evidenza, come fattori quasi esclusivi dell’evoluzione, la lotta per la vita e la sopravvivenza del più adatto. Invece la novità principale era l’appartenenza della nostra specie alla Natura, con tutte le conseguenze che questo comporta. L’idea della sopravvivenza del più adatto come fattore di “progresso” non era una constatazione biologica, ma un bisogno della nascente civiltà industriale.
I recenti studi di Lynn Margulis hanno evidenziato che l’evoluzione biologica è stata in gran parte frutto della cooperazione e della simbiosi fra organismi unicellulari durante almeno un miliardo di anni. Con questo non si vuol dire che la competizione in natura non esista: è un fattore fra tanti. La sacralità della Terra Assieme all’operazione di essersi tirato fuori dalla Biosfera, ponendosi “al di sopra” di essa, l’uomo occidentale ha tolto l’anima al mondo. Ma oggi, anche senza uscire dalla nostra cultura, alcuni pensatori hanno ampliato il concetto di mente fino a renderlo indipendente dal supporto di un sistema nervoso centrale: la mente sarebbe semplicemente frutto di una certa complessità (Gregory Bateson). Anche lo psichiatra junghiano James Hillmann insiste spesso sull’idea di “Anima del mondo”. Da vie diverse ricompare la mente nella Natura, anche se per ora si tratta di idee con scarsa diffusione, sempre limitandosi alla cultura occidentale. Ricordiamo che, oltre alle filosofie di spiriti più o meno isolati, ci sono le religioni, che hanno un’influenza ben maggiore sulle moltitudini. Uno dei compiti principali delle religioni potrebbe essere quello di fornire una visione del mondo in cui inquadrare i fenomeni e di dare prescrizioni morali che non riguardino qualche problema immediato o a breve termine o solo questioni umane, ma che preservino la salute della Terra, in quanto bene in sé: questo compito non può essere affidato né alla politica, né ad istituzioni “pratiche”. Le religioni, più che pensare a quale sia “la verità”, potrebbero diffondere sentimenti di empatia e di amore verso tutti gli esseri senzienti, cioè verso tutte le entità naturali. A questo riguardo le tradizioni filosofico-religiose che maggiormente si sono preoccupate del bene del complesso naturale a tempo indefinito sono state alcune tradizioni di origine orientale (Buddhismo, Jainismo, Taoismo) e alcune culture animiste, soprattutto quelle native del continente americano. Spesso la percezione che si trattava di prescrizioni “ecologiche” non era molto evidente, almeno agli europei.
Ho citato prima alcuni pensatori di formazione occidentale, a cui aggiungerò il biochimico e filosofo Rupert Sheldrake, che scrive: Che cosa cambia se consideriamo la Natura viva piuttosto che inanimata? Primo, mettiamo in crisi le ipotesi umanistiche su cui la civiltà moderna è basata. Secondo, instauriamo un rapporto diverso con il mondo naturale e acquistiamo una prospettiva diversa della natura umana. Terzo, diventa possibile una nuova sacralizzazione della natura. (La rinascita della Natura, Ed. Corbaccio, 1993). Mi sono limitato agli scritti più recenti: si tratta di casi isolati, che non hanno avuto in pratica molto seguito, ma che comunque esistono. Se non altro, riescono a mettere in evidenza che, perché sia presente il senso del sacro, non è assolutamente necessario postulare l’esistenza di un Dio personale ed esterno al mondo e che si occupa esclusivamente degli umani, come nelle tradizioni originarie del Medio Oriente e diffuse nella cultura occidentale. Per quanto riguarda questi fondamenti religiosi dell’Occidente (anche della parte laica), una modifica positiva dell’atteggiamento verso il mondo naturale si avrebbe se venisse riconosciuta la matrice indiana-buddhista, e non giudaica, dell’insegnamento di Cristo. Conclusioni Ci possono essere innumerevoli scale di valori, ma da quanto accennato è evidente che il primo valore dovrebbe essere quello di consentire la vita della Biosfera, da cui dipendiamo: la sopravvivenza della Terra è essenziale.
L’etica della Terra non è solo una posizione filosofica, è soprattutto una necessità per mantenere in vita e in salute l’Organismo cui apparteniamo, assieme alle altre specie, agli ecosistemi, all’atmosfera, al mare, ai fiumi, alle montagne. Se poi invece della logica sistemica vogliamo ascoltare la voce del cuore o dell’anima, ecco un’espressione di una cultura nativa del continente americano (etnìa Wintu, che si trovava nel nord-ovest degli attuali Stati Uniti):Quando noi indiani uccidiamo, la carne la mangiamo tutta. Quando estraiamo le radici facciamo piccoli fori: quando costruiamo case facciamo piccoli buchi nel terreno. Non abbattiamo gli alberi: usiamo solo legno già morto. Ma quest’altra razza di uomo ara il terreno, abbatte gli alberi, uccide tutti gli animali. L’albero dice: “Non farlo. Mi fai male. Non ferirmi”. Ma l’uomo bianco lo abbatte e lo taglia in pezzi. Come può lo Spirito della Terra amare quest’uomo? Dovunque egli ha toccato, la Terra ne è rimasta ferita.
Guido Dalla Casa (articolo pubblicato sulla Rivista ALDAI)

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