Le prime notizie storiche certe sul
Carnevale siciliano risalgono al 1600 e riguardano la città di Palermo e, col
passare degli anni, la ricorrenza assunse sempre più sfarzo nella preparazione degli
addobbi, dei costumi e delle maschere e potere sul desiderio collettivo di
evadere dalla routine e dal quotidiano. Ma bisogna dire che già dalla metà del
XVI Secolo un personaggio non scritto in copioni teatrali, ma partecipato e
visto nelle pubbliche piazze della capitale del regno delle due Sicilie è Peppe
Nappa. "Peppe Nappa è la più antica maschera siciliana e una delle più
antiche tra quelle italiane. Come Pulcinella e Arlecchino, essa deriva dalle
tipizzazioni delle maschere del teatro comico romano e si afferma, intorno alla
metà del XVI Secolo, con la nascita, in Italia, della Commedia dell'arte che a
Palermo ha assunto la forma della “Vastasata”, e a Catania quella del “Cu nesci
parra”. Il suo antenato diretto è il “Zanni”(nome che, in dialetto bergamasco
sta per “Giovanni”), prima maschera dialettale italiana che rappresenta il
servo tonto e scroccone. Anche Peppe Nappa è un servo sciocco, regolarmente
picchiato per ogni guaio che combina. Il soprannome “Nappa” contribuisce a
caratterizzare il soggetto, associandolo all'elemento simbolo della miseria che
è rappresentato, nell'immaginario collettivo, dalle “pezze” su abiti laceri. I
suoi abiti, infatti, sono poveri, anche se non hanno toppe. Concetta Greco
Lanza, in una introduzione al libro “Farse di Peppe Nappa” di Alfredo Danese
(Edizioni Greco- Catania), ce lo descrive così: “È pigro e spesso compare in
scena sbadigliando e di contro sa essere agilissimo e accenna a caso, passi di
danza. Non porta maschera, non s'infarina, ha il volto raso e sottili
sopracciglia; ha molti punti di contatto con la maschera francese di Pierrot,
ma ne differisce nell'abito; infatti indossa una corta giacchettina azzurra con
grandi bottoni, calzoni lunghi fino alla caviglia, ha sul capo un cappello
dalle falde rialzate sopra una stretta calotta piana, scarpe bianche con
fibbie, maniche lunghissime, fascia al collo.”. Le guerre, le malattie, la condizione sociale
allora divennero un grande contenitore dal quale attingere le caratterizzazioni
del Teatro dell’Arte fatto in strada e partecipato da tutti. Tra le maschere
siciliane più caratteristiche del passato occorre decisamente ricordare quelle
dei "Jardinara" (giardinieri) e dei "Varca" note
soprattutto nella provincia di Palermo e quelle dei "briganti" e
quella del "cavallacciu" note soprattutto nel catanese. Tra le altre
maschere tradizionali del passato si possono ricordare quelle che servono da
parodia ai maggiori esponenti delle classi sociali cittadine: si hanno così le
innumerevoli rappresentazioni dei "Dutturi", dei "Baruni" e
degli "Abbati". Si può citare, ancora, la vecchia maschera della
"Vecchia di li fusa" presente anticamente nella Contea di Modica. Si
tratta di un travestimento per diventare, attraverso l'uso di una gonna
sgualcita, un mantello che si annoda al collo ed un velo che parte dal capo, il
simbolo della prossima morte del Carnevale. Sempre in prossimità della città di
Modica - Rg -, si trovano le città di Monterosso e Giarratana. Qui le maschere
di Carnevale del passato più rappresentative erano quelle dei "
'Nzunzieddu", cioè insudiciati, maschera così chiamata perché chi la
impersona ha il viso sporco di fumo e terra rossa. Oggi un’altra maschera è
comparsa nel teatro dei mercati antichi tra splendide montagnole di olive e
affabulanti odori di timballetti di pasta al forno, sfincioni (scarsi d’olio e
pieni di polvere), e roboanti ufo pieni di spazzatura: il “Rivolusionario”! In
fondo la Sicilia gattopardesca dove Manfredi affronta il famoso “muro di gomma”
per ricadere nel dejàvù è sempre presente a se stessa e partorisce in
continuazione maschere grottesche! È l’animo del genius loci, Re Palermo!
Zaratustra
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