Giuditta e Oloferne
Artemisia
Gentileschi è una straordinaria pittrice del seicento che giustamente figura,
per la sua sagace e forbita "pennellata" tra le allieve
di scuola Caravaggesca. I suoi quadri, una grande produzione artistica di
grande pregio, raccontano attraverso le storie bibliche e profane la sua vita
di giovane donna che vive un ambiente maschile e che ne viene travolta in tutti
i sensi. Bene e Male sono trattati e figurati con gli occhi di chi è stata
tradita dalla vita e ha dovuto subire l'oltraggio più blasfemo e turpe per una
donna. Il quadro che più rappresenta questa sua voglia di rivincita è per chi
vi scrive, senza dubbio, Giuditta e Oloferne, che colpisce per l'elevata dose
di violenza che lo contraddistingue, per l'immediatezza dei soggetti
raffigurati, per il gusto teatrale tipicamente barocco e per la
sapienza con la quale vengono impiegati i colori, una sapienza già messa in
evidenza dal suo mentore e “amante”, Roberto Longhi, in un suo famoso saggio
del 1916: Gentileschi padre e figlia.
Come l’arte è
trasfigurazione del Pensiero
e dell’Intelligenza umana!
La freddezza
e l'impassibilità di Giuditta, il suo sforzo nel tenere ferma la testa di
Oloferne, il generale che, a sua volta, tenta di respingere la serva che aiuta
la protagonista a decapitare il nemico; il tema era già stato affrontato, con
la stessa veemenza, da Caravaggio, ma la tela proposta da Artemisia Gentileschi
assume anche una connotazione autobiografica. In questa tela c'è la pittrice
che ha subito una violenza e che non paga della Giustizia Umana vuole che il
suo stupratore, un amico di famiglia che approfitta dell'ambiente comune di
lavoro per dar sfogo alla sua voglia di animale senza
"padrone", abbia una punizione che la purifichi e le ridia la sua
giovinezza violata. Non vuole sporcarsi del sangue del gigantesco OLOFERNE (
dal libro di Giuditta - Antico testamento- Oloferne è il generale mandato da
Nabucodonosor, Re degli Assiri, per sottomettere i ribelli Giudei e trova morte
per mano dell'eroina giudea, già provata dal dolore per la morte del marito, ma
pronta a sacrificarsi per la salvezza del suo popolo; Giuditta ( in ebraico La
Giudea) dopo aver fatto ubriacare di lei e di vino il generale, gli
sottrae la scimitarra e invocando Dio con due colpi netti gli taglia la
testa. Questo fatto di sangue, la decapitazione del Capo, getta lo scompiglio
nel campo avversario che viene ad essere privato del suo condottiero... e,
scompostamente frastornato lascia l’assedio per far ritorno a casa).
Caravaggio
aveva ritratto Giuditta raccontando di lei il suo ribrezzo e la necessità
dell'atto brutale, le mette vicino una vecchia serva, la saggezza che
suggerisce l'atto, e un Oloferne decisamente meno giovane e bello di quello
ritratto da Artemisia. La pittrice, invece, ritrae un gigantesco Oloferne, giovane
e bello, quasi attraente animalescamente, e la serva diventa una giovane
complice della Giustizia che lei cerca per se, ma non solo per se. La cerca per
tutte le donne che devono nascondersi dietro gli uomini piuttosto che avere i
mezzi e l’autonomia per competere ad armi pari.
E' una forma
di Femminismo ante litteram!
Ugo Arioti
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