È per questo che vogliamo,anche noi,
arricchire questo dibattito sulla “Natura”, la “Bellezza” e l’”Etica” con la “
Via Pulchritudinis” che è l’inizio
di questa risposta da parte della Chiesa che si occupa del suo gregge di anime.
REDAZIONE SECEM
Di fronte alle sfide storiche,
sociali, culturali e religiose raccolte nelle due precedenti Assemblee
plenarie, quali aspetti della pastorale la Chiesa è chiamata a privilegiare nel
suo dialogo apostolico con gli uomini e le donne del nostro tempo, specialmente
i non credenti e gli indifferenti?
La Chiesa compie la sua missione che
è quella di portare gli uomini a Cristo Salvatore mediante la condivisione
della Parola di Dio e il dono dei Sacramenti della Grazia. Per meglio
raggiungerli, attraverso una pastorale della cultura, adattata alla luce
del Cristo contemplato nel mistero della sua Incarnazione (cf. Gaudium et
spes, n. 22), essa scruta i segni dei tempi e vi trova preziose
indicazioni per gettare «ponti» che permettano di incontrare il Dio di Gesù
Cristo attraverso un itinerario di amicizia in un dialogo di verità.
In tale prospettiva, la Via
pulchritudinis si presenta come un itinerario privilegiato per raggiungere
molti di coloro che hanno grandi difficoltà a ricevere l’insegnamento,
soprattutto morale, della Chiesa. Troppo spesso, in questi ultimi decenni, la
verità ha risentito del fatto di essere strumentalizzata dall’ideologia e la
bontà di essere «orizzontalizzata», ridotta ad essere unicamente un atto
sociale, come se la carità verso il prossimo potesse fare a meno di attingere
la propria forza all’amore di Dio. Il relativismo, che trova nel pensiero
debole una delle sue espressioni più forti, contribuisce, peraltro, a
rendere difficile un confronto vero, serio e ragionevole.
La Via della bellezza, a
partire dall’esperienza semplicissima dell’incontro con la bellezza che suscita
stupore, può aprire la strada della ricerca di Dio e disporre il cuore e la
mente all’incontro col Cristo, Bellezza della Santità Incarnata offerta da Dio
agli uomini per la loro Salvezza. Essa invita i nuovi Agostino del nostro
tempo, cercatori insaziabili d’amore, di verità e di bellezza, ad elevarsi
dalla bellezza sensibile alla Bellezza eterna e a scoprire con fervore il Dio
Santo Artefice di ogni bellezza.
Non tutte le culture sono in ugual
misura aperte al Trascendente e ad accogliere la rivelazione cristiana. Allo
stesso modo, tutte le espressioni del bello – o di ciò che ritiene di esserlo –
sono lungi dal favorire l’accoglienza del messaggio di Cristo e l’intuizione
della sua divina bellezza. Le culture, come le espressioni artistiche e le
manifestazioni estetiche, sono segnate dal peccato e possono attirare, perfino
catturare l’attenzione fino a farla ripiegare su se stessa suscitando nuove
forme di idolatria. Non siamo troppo spesso messi di fronte a fenomeni di vera
decadenza in cui l’arte e la cultura si snaturano fino a ferire l’uomo nella
sua dignità? Il bello non può essere ridotto ad un semplice piacere dei sensi:
sarebbe rifiutarsi di avere piena coscienza della sua universalità, del suo
valore supremo, altamente trascendente. La sua percezione richiede
un’educazione, poiché la bellezza non è autentica se non nel suo rapporto con
la verità – d’altronde, di che cosa sarebbe lo splendore, se non della verità?
– ed essa è, al tempo stesso, «l’espressione visibile del bene, come il bene
è la condizione metafisica della bellezza» [1][6] - «Il bello non è forse la
strada più sicura per raggiungere il bene? », si chiedeva Max Jacob.
Ampiamente accessibile a tutti, la Via della bellezza non è, tuttavia,
priva di ambiguità e di deviazioni. Sempre dipendente dalla soggettività umana,
essa può essere ridotta ad un estetismo effimero, lasciarsi strumentalizzare ed
asservire dalle mode attraenti della società dei consumi. Da ciò nasce
l’urgente missione di educare a discernere tra “uti” e “frui”, cioè tra
un rapporto con le cose e le persone fondato unicamente sulla funzionalità – uti -, e la relazione credibile e
affidabile – frui -, radicata
coraggiosamente sulla bellezza della gratuità, memori di quanto scrive Agostino
nel suo “De catechizandis rudibus”: “Nulla est enim maior ad amorem invitatio
quam praevenire amando” – Non c’è invito più grande all’amore che precedere
amando (Lib. I, 4.7, 26).
Perciò, è necessario chiarire che cos’è e in
che consiste la Via pulchritudinis: di quale bellezza si tratta, che
permetta di trasmettere la fede mediante la sua capacità di raggiungere il
cuore delle persone, di esprimere il mistero di Dio e dell’uomo, di presentarsi
come un autentico «ponte», spazio libero per camminare con gli uomini e le
donne del nostro tempo che sanno o imparano ad apprezzare il bello, e aiutarli
ad incontrare la bellezza del Vangelo di Cristo che la Chiesa deve, per sua
missione, annunciare a tutti gli uomini di buona volontà.
II.2 In che modo la via
pulchritudinis può essere una risposta della Chiesa alle sfide del nostro
tempo?
Il Papa Giovanni Paolo II, instancabile indagatore dei
segni dei tempi, indica la via nella sua Enciclica Fides et ratio: «Mentre
non mi stanco di richiamare l’urgenza di una nuova evangelizzazione, mi appello
ai filosofi perché sappiano approfondire le dimensioni del vero, del buono e
del bello, a cui la parola di Dio dà accesso. Ciò diventa tanto più urgente, se
si considerano le sfide che il nuovo millennio sembra portare con sé: esse
investono in modo particolare le regioni e le culture di antica tradizione
cristiana. Anche questa attenzione deve considerarsi come un apporto fondamentale e originale
sulla strada della nuova evangelizzazione»[2][7].
Questo appello ai filosofi può sorprendere, ma la via
pulchritudinis non è forse una via veritatis sulla quale l’uomo si
impegna per scoprire la bonitas del Dio d’amore, fonte di ogni bellezza,
di ogni verità e di ogni bontà? Il bello, come pure il vero o il bene, ci
conduce a Dio, Verità prima, Bene supremo e Bellezza stessa. Ma il bello dice
più del vero o del bene. Dire di un essere che è bello non significa solo riconoscergli
una intelligibilità che lo rende amabile. E’ dire, nello stesso tempo, che
specificando la nostra conoscenza, esso ci attira, anzi ci cattura attraverso
un influsso capace di suscitare meraviglia. Se esso esprime un certo potere di
attrazione, ancor più, forse, il bello esprime la realtà stessa nella
perfezione della sua forma. Esso ne è l’epifania. Esso la manifesta esprimendo
la sua intima chiarezza [3][8]. Se il bene
esprime il desiderabile, il bello esprime ancor più lo splendore e la luce di
una perfezione che si manifesta [4][9] .
La via pulchritudinis è una via pastorale
che non si può ridurre ad un approccio filosofico. Ma lo sguardo del metafisico
ci aiuta a capire perché la bellezza è una via regale per condurre a Dio. Nel
suggerirci chi Egli è, essa suscita in noi il desiderio di goderne nella pace
della contemplazione, non soltanto perché Lui solo può soddisfare le nostre
intelligenze e i nostri cuori, ma anche perché Egli contiene in se stesso la
perfezione dell’Essere, fonte armoniosa e inesauribile di chiarezza e di luce.
Per giungervi, è importante saper compiere il passaggio «dal fenomeno al
fondamento». E’ di nuovo l’appello del papa filosofo: «Ovunque l’uomo
scopre la presenza di un richiamo all’assoluto e al trascendente, lì gli si
apre uno spiraglio verso la dimensione metafisica del reale: nella verità,
nella bellezza, nei valori morali, nella persona altrui, nell’essere stesso, in
Dio. Una grande sfida che ci aspetta al termine di questo millennio è quella di
saper compiere il passaggio, tanto necessario quanto urgente, dal fenomeno al
fondamento. Non è possibile fermarsi alla sola esperienza; anche quando
questa esprime e rende manifesta l’interiorità dell’uomo e la sua spiritualità,
è necessario che la riflessione speculativa raggiunga la sostanza spirituale e
il fondamento che la sorregge » [5][10] .
Questo passaggio dal fenomeno al fondamento
non avviene spontaneamente per chi non sia in grado di passare dal visibile
all’invisibile perché una certa abitudine alla bruttezza, al cattivo gusto,
alla volgarità, si vede promossa sia dalla pubblicità sia da alcuni «artisti
folli» che fanno dell’immondo e del brutto un valore, al fine di suscitare
scandalo. I fiori capziosi del male affascinano: «Vieni dal cielo
profondo o esci dall’abisso, o Bellezza?», si chiede Baudelaire. E Dmitrij
Karamazov confida a suo fratello Alëša: «La Bellezza è una cosa terribile.
E’ la lotta tra Dio e Satana e il campo di battaglia è il mio cuore». Se la
bellezza è l’immagine di Dio creatore, essa è anche figlia di Adamo ed Eva e,
sulla loro scia, segnata dal peccato. L’uomo spesso rischia di lasciarsi
intrappolare dalla bellezza presa in se stessa, icona divenuta idolo, mezzo che
inghiottisce il fine, verità che imprigiona, trappola in cui cade un gran
numero di persone, per mancanza di un’adeguata formazione della sensibilità e
di una corretta educazione alla bellezza.
Percorrere la Via pulchritudinis implica
impegnarsi a educare i giovani alla bellezza, aiutarli sviluppare uno spirito
critico di fronte all’offerta della cultura mediatica, e a plasmare la loro
sensibilità e il loro carattere per elevarli e condurli ad una reale maturità.
La «cultura kitsch» non è caratteristica di una certa paura di sentirsi spinto
ad una profonda trasformazione? Dopo aver a lungo rifiutato questa «passione»,
Sant’Agostino ricorda la trasformazione profonda dell’anima grazie all’incontro
con la bellezza di Dio: nelle Confessioni egli ripensa con tristezza e
amarezza al tempo perduto e alle occasioni mancate e, in pagine
indimenticabili, rivede il suo percorso tormentato alla ricerca della verità e
di Dio. Ma, in una specie di illuminazione nell’evidenza, egli ritrova Dio e lo
coglie come «la Verità in persona» (X, 24), fonte di gioia pura e di autentica
felicità: «Tardi t’amai, bellezza così antica, così nuova, tardi t’amai! Ed
ecco, tu eri dentro di me ed io fuori di me ti cercavo e mi gettavo deforme
sulle belle forme della tua creazione… Tu hai chiamato e gridato, hai spezzato
la mia sordità, hai brillato e balenato, hai dissipato la mia cecità, hai
sparso la tua fragranza ed io respirai, ed ora anelo verso di te; ti ho gustata
ed ora ho fame e sete, mi hai toccato, ed io arsi nel desiderio della tua pace»[6][11].
Quest’esperienza dell’incontro con il Dio della Bellezza è un avvenimento
vissuto nella totalità dell’essere e non solo nella sensibilità. Di qui la
confessione del De musica (6, 13, 38): «Num possumus amare nisi
pulchra? – Che altro si può amare se non
le cose belle?».
Proponendo un’estetica teologica, Hans Urs von
Balthasar intendeva aprire gli orizzonti del pensiero alla meditazione e alla
contemplazione della bellezza di Dio, del suo mistero e del Cristo in cui Egli
si rivela. Nell’introduzione al primo volume della sua opera magistrale,
Gloria, il teologo cita la parola bellezza «che per noi sarà la prima»
e ne esprime la portata in rapporto al bene che «anche ha perduto la sua
forza di attrazione» e in cui «gli argomenti in favore della verità hanno
esaurito la loro forza di conclusione logica» [7][12].
Parallelamente, con altre preoccupazioni, Aleksandr I. Solženicyn nota con
accento profetico, nel suo Discorso per la consegna del Premio Nobel per la
Letteratura: «Questa antica triunità della Verità, del Bene e della
Bellezza non è semplicemente una caduca formula da parata, come ci era sembrato
ai tempi della nostra presuntuosa giovinezza materialistica. Se, come dicevano
i sapienti, le cime di questi tre alberi si riuniscono, mentre i germogli della
Verità e del Bene, troppo precoci e indifesi, vengono schiacciati, strappati e
non giungono a maturazione, forse strani, imprevisti, inattesi saranno i
germogli della Bellezza a spuntare e crescere nello stesso posto e saranno loro
in tal modo a compiere il lavoro per tutti e tre»[8][13].
Così, ben lungi dal rinunciare a proporre la Verità
e il Bene che sono nel cuore del Vangelo, bisogna seguire una via
che permetta ad essi di raggiungere il cuore dell’uomo e delle culture[9][14]. Il mondo ne ha
urgente bisogno, come sottolineava Papa Paolo VI nel suo vibrante Messaggio
agli Artisti dell’8 dicembre 1965, alla chiusura del Concilio Ecumenico
Vaticano II: «Questo mondo nel quale noi viviamo ha bisogno di bellezza per
non cadere nella disperazione. La bellezza, come la verità, mette la gioia nel
cuore degli uomini ed è un frutto prezioso che resiste al logorio del tempo,
che unisce le generazioni e le fa comunicare nell’ammirazione»[10][15]. Contemplata
con animo puro, la bellezza parla direttamente al cuore, eleva interiormente
dallo stupore alla meraviglia, dall’ammirazione alla gratitudine, dalla
felicità alla contemplazione. Perciò, crea un terreno fertile per l’ascolto e
il dialogo con l’uomo e per afferrarlo interamente, mente e cuore, intelligenza
e ragione, capacità creatrice e immaginazione. Essa, infatti, difficilmente
lascia indifferenti: suscita emozioni, mette in moto un dinamismo di profonda
trasformazione interiore che genera gioia, sentimento di pienezza, desiderio di
partecipare gratuitamente a questa stessa bellezza, di appropriarsene
interiorizzandola e inserendola nella propria concreta esistenza.
La via della bellezza risponde all’intimo desiderio di
felicità che alberga nel cuore di ogni uomo. Essa apre orizzonti infiniti, che
spingono l’essere umano ad uscire da se stesso, dalla routine e
dall’effimero istante che passa, ad aprirsi al Trascendente e al Mistero, a
desiderare, come scopo ultimo del suo desiderio di felicità e della sua
nostalgia di assoluto, questa Bellezza originale che è Dio stesso, Creatore di
ogni bellezza creata. Molti Padri hanno fatto riferimento a ciò durante il
Sinodo dei Vescovi sull’Eucaristia, nell’ottobre 2005. L’uomo nel suo intimo
desiderio di felicità, può trovarsi messo di fronte al male della sofferenza e
della morte. Allo stesso modo, le culture sono talvolta messe di fronte a dei
fenomeni analoghi di ferite, che possono condurre fino alla loro scomparsa. La
voce della bellezza aiuta ad aprirsi alla luce della verità, e illumina così la
condizione umana aiutandola a cogliere il significato del dolore. In questo
modo, essa favorisce la guarigione di queste ferite.
Tre sviluppi si offrono a noi come vie privilegiate
della Via pulchritudinis, per dialogare con le culture contemporanee:
III.1 La
bellezza della creazione
III.2 La bellezza delle arti
III.3 La
bellezza di Cristo, modello e prototipo della santità cristiana
La Bellezza di Dio, rivelata dalla bellezza singolare
di suo Figlio, costituisce l’origine e il fine di tutto il creato. Se è
possibile partire dal grado più elementare, per poi risalire, secondo un
dinamismo inscritto nelle Sacre Scritture, dalla bellezza sensibile della
natura alla Bellezza del Creatore, quest’ultima risplende in maniera unica sul
volto di Cristo e su quello di sua Madre e dei santi. Per il cristiano
«creazione» è inseparabile da «ricreazione», poiché se Dio ha giudicato buona e
bella l’opera dei sei giorni (cf. Gn 1), il peccato, con il disordine,
ha introdotto la bruttezza della morte e del male. «Felice colpa, che meritò
di avere un così grande Redentore!», canta la liturgia di Pasqua: la
Grazia, che si riversa sul mondo dal costato aperto di Cristo Salvatore,
purifica e introduce in tutt’altra bellezza il mondo salvato che attende
gemendo l’ora della trasformazione finale (Rm 8, 22).
III.1 La bellezza della creazione.
La Scrittura sottolinea il valore simbolico della
bellezza del mondo che ci circonda: «Davvero stolti per natura tutti gli
uomini che vivevano nell’ignoranza di Dio, e dai beni visibili non riconobbero
colui che è, non riconobbero l’artefice, pur considerandone le opere…Se…li
hanno presi per dèi, pensino quanto è superiore il loro Signore, perché li ha
creati lo stesso autore della bellezza» (Sap 13, 1.3). C’è,
tuttavia, un abisso tra la bellezza ineffabile di Dio e le sue vestigia nella
creazione, pertanto l’autore sacro non ritiene inutile precisare il quadro di
tale «dialettica ascendente»: «…dalla grandezza e bellezza delle creature
per analogia si conosce l’autore » (v. 5). Occorre, perciò, superare le
forme visibili delle cose della natura, per risalire fino al loro Autore
invisibile, il Tutt’Altro, che
noi professiamo nel Credo: «Credo in un solo Dio, Padre onnipotente,
creatore del cielo e della terra».
A) La
meraviglia davanti alla bellezza della creazione. «La natura è un tempio in cui
dei pilastri vivi lasciano talvolta uscire confuse parole…» Se i poeti
sono, con Baudelaire[11][16],
particolarmente sensibili alle bellezze della creazione e al loro misterioso
linguaggio, è perché dalla contemplazione di un paesaggio al tramonto, delle
cime dei monti innevate sotto il cielo stellato, dei campi coperti di fiori
inondati di luce, del rigoglio delle piante e delle specie animali nasce una
varietà di sentimenti che ci invitano a «leggere dall’interno – intus-legere»,
per raggiungere dal visibile l’invisibile e dare risposta alle domande: chi è questo
artefice dall’immaginazione così potente all’origine di tanta bellezza e
grandezza, di una simile profusione di esseri
nel cielo e sulla terra? [12][17].
Nello stesso tempo la contemplazione delle bellezze
della creazione suscita la pace interiore e affina il senso dell’armonia e il
desiderio di una vita bella. Nell’uomo religioso, lo stupore e l’ammirazione si
trasformano in atteggiamenti interiori più spirituali: l’adorazione, la lode e
l’azione di grazie verso l’Autore di tali bellezze. Così il salmista: «Se
guardo il tuo cielo, opera delle tue dita, la luna e le stelle che tu hai
fissate, che cosa è l’uomo perché te ne ricordi e il figlio dell’uomo perché te
ne curi? Eppure l’hai fatto poco meno degli angeli, di gloria e di onore lo hai
coronato: gli hai dato potere sulle opere delle tue mani, tutto hai posto sotto
i suoi piedi… O Signore, nostro Dio, quanto è grande il tuo nome su tutta la
terra!» (Sal 8, 4-7.10). La tradizione francescana, con san
Bonaventura e Giovanni Scoto Eriugena[13][18],
riconosce una dimensione «sacramentale» alla creazione, che porta in se stessa
le tracce delle sue origini. Inoltre, la natura stessa è considerata come
un’allegoria, e ogni realtà creata simbolo del suo Creatore
B) Dalla
creazione alla ricreazione. Tra le creature ce n’è una che presenta una certa somiglianza con Dio:
l’uomo, creato «a sua immagine e somiglianza». Con la sua anima
spirituale, egli porta in sé un «germe d’eternità irriducibile alla sola
materia» (Gaudium et spes, 18). Ma l’immagine è stata alterata dal
primo peccato, veleno che indebolisce la volontà nel suo orientamento verso il
bene e, quindi, offusca l’intelligenza e vizia la sensibilità. La bellezza
dell’anima, assetata di verità e slancio verso il beneamato, perde il suo
splendore e diventa capace di operare il male, il brutto: un bambino testimone
di un’azione cattiva non dice spontaneamente: «Non è bello»? Così la
bruttezza – e dunque a fortiori il bene – appare nel campo della morale
e si riflette sull’uomo, suo soggetto. Con il peccato, questi ha perso la sua
bellezza e si vede nudo fino a provarne vergogna. La venuta del Redentore lo
riporta alla sua bellezza originaria, anzi lo riveste di una bellezza nuova: la
bellezza inimmaginabile della creatura elevata alla filiazione divina, la trasfigurazione
promessa dell’anima redenta ed innalzata dalla grazia, lo splendore in tutte le
fibre del suo corpo chiamato a resuscitare.
Se Cristo, Nuovo Adamo, «svela pienamente l’uomo
all’uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione» (Gaudium et spes,
22), lo sguardo cristiano sulla bellezza della creazione trova il suo
compimento nella sconvolgente notizia della ricreazione: il Cristo,
rappresentazione perfetta della gloria del Padre, comunica all’uomo la sua
pienezza di grazia. Egli lo rende «grazioso» vale a dire bello e gradito a Dio.
L’Incarnazione è il centro focale, la giusta prospettiva in cui la bellezza
assume il suo significato ultimo.:«”Immagine del Dio invisibile” (Col 1,
15), Cristo Signore è l’uomo perfetto, che ha restituito ai figli di Adamo la
somiglianza con Dio, resa deforme già subito agli inizi a causa del peccato.
Poiché in lui la natura umana è stata assunta, senza per questo venire
annientata, per ciò stesso essa è stata anche in noi innalzata ad una dignità
sublime. Con l’incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni
uomo». Torneremo ancora su questo argomento, la bellezza della santità che
emana dall’uomo conformato a Cristo, sotto il soffio dello Spirito Santo, è una
delle più belle testimonianze in grado di scuotere i più indifferenti e di far
sentire loro il passaggio di Dio nella vita degli uomini.
In un’azione di grazie continua, il cristiano loda il
Cristo che gli ha ridato vita e si lascia trasfigurare da questo dono glorioso
che gli viene fatto. I nostri occhi avidi di bellezza si lasciano attrarre dal
Nuovo Adamo, vera icona del Padre eterno, «irradiazione della sua gloria e
impronta della sua sostanza» (Eb 1, 3). Ai «puri di cuore» ai
quali è stato promesso che vedranno Dio faccia a faccia, Cristo concede già di
intravedere la luce della gloria nel cuore stesso della notte della fede.
C) La creazione, utilizzata o
idolatrata. Sono, tuttavia, numerosi gli uomini e le donne che vedono la
natura e il cosmo solo nella loro materialità visibile, universo muto che
avrebbe il solo destino di obbedire alle fredde e immutabili leggi fisiche,
senza evocare nessun’altra bellezza, ancor meno un Creatore. In una cultura in
cui lo scientismo impone i limiti del suo metodo di osservazione fino a farne
il criterio esclusivo di conoscenza, il cosmo viene ridotto ad essere soltanto
un immenso serbatoio al quale l’uomo attinge fino ad esaurirlo, in funzione dei
suoi bisogni crescenti, smisurati.
Il Libro della Sapienza mette in guardia contro
tale miopia che San Paolo denuncia come un «peccato di orgoglio e di
presunzione» (Rm 1, 20-23). Del resto, la creazione non è muta: i
fenomeni naturali straordinari, talvolta tragici, registrati in questi ultimi
anni, e i disastri ecologici che si moltiplicano senza tregua, determinano una
nuova comprensione della natura, delle sue leggi, della sua armonia. Risulta
sempre più evidente, per molti dei nostri contemporanei, che la natura non può
né deve essere manipolata senza rispetto.
Non bisogna, però, fare della natura un assoluto, addirittura
un idolo, come avviene in alcuni gruppi neopagani: il suo valore non può
oltrepassare la dignità dell’uomo chiamato ad esserne il custode.
Una particolare attenzione alla natura aiuta a
scoprire in essa lo specchio della bellezza di Dio. Pertanto è urgente
promuovere una maggiore attenzione nei confronti della creazione e della sua
bellezza, sia nella formazione umana sia in quella cristiana, evitando di
ridurla a semplice ecologismo, addirittura ad una visione panteista. Alcuni
movimenti – scoutismo, Azione Cattolica Ragazzi (ACR) – si impegnano ad
educare all’osservazione della natura e
a sensibilizzare alla sua protezione. Essi aiutano i giovani a scoprire il
progetto creatore di Dio, nel momento in cui destano in loro i sentimenti
legati alla meraviglia, all’adorazione e all’azione di grazie. Bisognerà essere
attenti a metter in luce la duplice dimensione dell’ascolto
- ascolto della creazione che narra
la gloria di Dio,
- e ascolto di Dio che ci parla
attraverso la sua creazione e si rende accessibile alla ragione, secondo
l’insegnamento del Concilio Vaticano I (Dei Filius, Ch. 2, can. 1).
La catechesi, nel suo sforzo di formazione dei bambini
e dei giovani, trae vantaggio a sviluppare una pedagogia dell’osservazione
delle bellezze naturali e degli atteggiamenti umani fondamentali che vi si
riferiscono: silenzio, ascolto, ammirazione, interiorizzazione, pazienza
nell’attesa, scoperta dell’armonia, rispetto dell’equilibrio naturale, senso
della gratuità, adorazione e contemplazione.
L’insegnamento di una autentica filosofia della natura
e di una bella teologia della Creazione meriterebbe un nuovo slancio in una
cultura in cui il dialogo tra scienza e fede è di particolare
importanza, in cui gli intellettuali hanno il dovere di possedere un minimo di
conoscenze epistemologiche e gli scienziati misconoscono troppo spesso
l’immenso profitto che si può trarre dalla sapienza cristiana[14][19]. I pregiudizi
scientisti e il fideismo sono ancora troppo spesso presenti nella mentalità
comune, perciò è di fondamentale importanza suscitare a tutti i livelli – negli
Istituti scolastici cattolici, gli Istituti di formazione, le Università, i
Centri Culturali Cattolici, ecc. – occasioni di incontro e di dialogo tra
uomini di scienza e di fede. In questo quadro, il Giubileo degli Scienziati,
celebrato durante il Grande Giubileo del 2000, ha fatto sorgere nuove
iniziative culturali destinate a rinnovare il dialogo tra scienza e fede
[15][20]. Tra queste,
il progetto STOQ (Science, Theology and Ontological Quest), promosso dal
Pontificio Consiglio della Cultura in collaborazione con diverse Università
pontificie. Per altro, ogni branca del sapere – filosofia, teologia, scienze
umane e sociali, psicologia – può contribuire allo svelamento della bellezza di
Dio e della sua creazione.
Le azioni in favore della difesa della natura,
dell’habitat naturale, organizzate da comunità cristiane o da famiglie
religiose che si ispirano all’esempio di San Francesco che «contemplava il
Bellissimo nelle cose belle» [16][21], hanno una
certa eco e contribuiscono allo sviluppo di una visione meno «idolatrica» della
natura. La Lettera pastorale dei Vescovi Australiani del Queensland dal
titolo suggestivo: Let the Many Coastlands Be Glad! A Pastoral Letter on the
Great Barrier Reef, ne è un esempio. È importante moltiplicare le
iniziative per trasmettere, nella cultura contemporanea, il senso del valore
autentico della natura, della sua bellezza e della sua potenza simbolica e
della sua capacità di far scoprire l’opera creatrice di Dio.
III.2 La
bellezza delle arti.
Se la natura e il cosmo sono espressione della
bellezza del Creatore e introducono alla soglia di un silenzio tutto
contemplativo, la creazione artistica possiede la capacità di evocare
l’indicibile del mistero di Dio. L’opera d’arte non è «la bellezza», ma ne è
l’espressione e, se obbedisce a dei canoni per natura fluttuanti: ogni arte è
legata ad una cultura, essa possiede un carattere intrinseco di universalità.
La bellezza artistica suscita emozione interiore, provoca nel silenzio il
rapimento e conduce all’«uscita da sé», all’estasi.
Per il credente, la bellezza trascende l’estetica e il
bello trova il suo archetipo in Dio. La contemplazione di Cristo nel suo
mistero d’Incarnazione e Redenzione è la fonte viva alla quale l’artista
cristiano attinge la propria ispirazione per esprimere il mistero di Dio e il
mistero dell’uomo salvato in Gesù Cristo. Ogni opera d’arte cristiana ha un
senso: essa è, per natura, un «simbolo», una realtà che rimanda al di là di se
stessa, che aiuta ad avanzare sulla via che rivela il senso, l’origine e la
meta del nostro cammino terreno. La sua bellezza è caratterizzata dalla sua
capacità di provocare il passaggio dal «per sé» al «più grande di sé».
Tale passaggio si realizza in Gesù Cristo, che è «la via, la verità e la
vita» (Gv 14, 6), la «Verità tutta intera» (Gv 16,
13).
A) La bellezza suscitata dalla fede. Le opere d’arte di ispirazione
cristiana, che costituiscono una parte incomparabile del patrimonio artistico e
culturale dell’umanità, sono oggetto di una vera infatuazione da parte di folle
di turisti, credenti o non credenti, agnostici o indifferenti al fatto
religioso. Tale fenomeno è in continuo
aumento e raggiunge tutte le categorie della popolazione, senza distinzione di
cultura e di religione. La cultura, nel senso di «patrimonio spirituale», si è
fortemente «democratizzata»: grazie agli sviluppi straordinari della
tecnologia, le opere d’arte si sono avvicinate al «popolo». Ormai, un minuscolo
apparecchio elettronico può contenere tutta l’opera di Mozart o Bach, come pure
sono alla portata di tutti decine di migliaia di miniature della Biblioteca
Vaticana messe su un disco video
digitale.
Il volto di Cristo, nella sua singolare bellezza, le
scene del Vangelo e i grandi avvenimenti profetici dell’Antico Testamento, il
Golgota, la Vergine col Bambino e la Vergine Addolorata hanno rappresentato nel
corso dei secoli una sorgente feconda di ispirazione per gli artisti cristiani.
In una straordinaria ricchezza immaginativa, questi si sforzano, attraverso una
ricerca continua e continuamente rinnovata, di rappresentare la bellezza di Dio
rivelata nel Cristo e di renderla più vicina, quasi tangibile e visibile. In
qualche modo, l’artista prolunga la Rivelazione operando con le forme, le
immagini, i colori o le sonorità. Mostrando quanto è bello Dio, dice quanto
egli lo è per l’uomo, come suo proprio bene e verità ultima della sua
esistenza. La bellezza cristiana è portatrice di una verità più grande del
cuore dell’uomo, verità che supera il linguaggio umano e indica il suo Bene,
l’unico essenziale.
I Cardinali di Santa Romana Chiesa non hanno forse
percepito tutta la terribile bellezza del Giudizio Universale di Michelangelo,
nella Cappella Sistina, nell’atto di eleggere il nuovo Romano Pontefice? Le
cattedrali e le chiese d’Oriente e d’Occidente non toccano forse l’apice dello
splendore quando una liturgia rifulgente di bellezza vi è celebrata da tutto un
popolo ivi radunato? E le abbazie e i monasteri non diventano delle oasi di
pace quando vi risuonano le melodie immutabili che, nel corso dei secoli,
svolgono la loro funzione di lode, di supplica e di azione di grazie? Tanti
uomini e donne, di tutte le epoche e di tutte le culture, hanno provato una
profonda emozione fino ad aprire il loro cuore a Dio, contemplando il volto di
Cristo in Croce, come a suo tempo Francesco d’Assisi, ascoltando una Passione o
un Te Deum oppure inginocchiandosi davanti ad una pala d’altare d’oro o
ad una icona bizantina.
Il Papa Giovanni Paolo II, nella sua Lettera agli
artisti, ha chiamato ad una nuova epifania della bellezza e ad un
nuovo dialogo fede e cultura tra la Chiesa e l’arte, sottolineando il
bisogno reciproco dell’una e dell’altra e la fecondità della loro alleanza
millenaria dalla quale scaturisce quella «creazione nella bellezza» di cui Platone già
parlava nel Simposio [17][22].
Se l’ambiente culturale condiziona fortemente
l’artista, allora sorge la domanda: come essere custodi della bellezza,
secondo l’auspicio di von Balthasar, in questa cultura artistica contemporanea
in cui la seduzione erotica onnipresente ipertrofizza gli istinti, inquina
l’immaginario e inibisce le facoltà spirituali? In fondo, salvare la bellezza
non è salvare l’uomo? Non è, questo, il ruolo della Chiesa, «esperta in
umanità» ?
B) Imparare
ad accogliere questa bellezza. Le opere d’arte ispirate dalla fede cristiana –
pitture e mosaici, sculture e architetture, avori e argenti, opere di poesia e
prosa, opere musicali e teatrali, cinematografiche e coreografiche e tante
altre ancora – hanno un potenziale enorme, sempre attuale, che non si lascia
alterare dal tempo che passa: esso consente di comunicare in maniera intuitiva
e piacevole la grande esperienza della fede, dell’incontro con Dio in Cristo,
nel quale si svela il mistero dell’amore di Dio e l’identità profonda
dell’uomo.
Rivolgendosi agli artisti nella Cappella Sistina, il 7
maggio 1964, il Papa Paolo VI denunciava il «divorzio» tra l’arte e il sacro,
caratteristico del XX secolo, e osservava che oggi numerosi artisti incontrano
grandissime difficoltà a trattare i temi cristiani per mancanza di formazione e
di esperienza riguardo alla fede
cristiana [18][23]. La bruttezza
di certe chiese e delle loro decorazioni, la loro inadattabilità alla
celebrazione liturgica, sono le conseguenze di tale divorzio, di una
lacerazione che richiede una cura perché venga sanata. Perciò, è importante
rimediare all’ignoranza crescente nel campo della cultura religiosa, per consentire
all’arte cristiana del passato e del presente di aprire a tutti la via
pulchritudinis[19][24].
Per essere pienamente «recepita» e capita, l’opera d’arte cristiana ha bisogno
di essere letta alla luce della Bibbia e dei testi fondamentali della Tradizione
ai quali si riferisce l’esperienza di fede. Se la bellezza va espressa, ne
dobbiamo ancora imparare il particolare linguaggio, che suscita ammirazione,
emozione e conversione. Se esiste un linguaggio della bellezza, quello
dell’opera d’arte cristiana non trasmette soltanto il messaggio dell’artista,
ma la verità del mistero di Dio meditato da una persona che di esso ci dà la
sua propria lettura, non già per glorificarsi, bensì per glorificarne la
Sorgente. L’analfabetismo biblico sterilizza la capacità di comprensione
dell’arte cristiana.
Del resto, uno sforzo congiunto dev’essere fatto per
superare difficoltà dovute ad un certo clima culturale creato da una critica
d’arte ampiamente influenzata da ideologie materialistiche: mettere in evidenza soltanto l’aspetto
estetico-formale delle opere, senza interesse per il loro contenuto che ha
ispirato tanta bellezza, rende sterile l’arte, inaridisce il flusso vivificante
della vita spirituale per rinchiuderla nella sola emozione sensibile.
C) L’arte sacra, strumento di
evangelizzazione e di catechesi. Il Servo di Dio Giovanni Paolo II definiva il
patrimonio artistico ispirato dalla fede cristiana «un formidabile strumento
di catechesi», fondamentale per «rilanciare il messaggio universale
della bellezza e della bontà» (Ai Vescovi di Toscana, 11 marzo
1991). In sintonia con lui, il Cardinale Ratzinger, nella sua veste di
Presidente della Commissione speciale preparatoria del Compendio del
Catechismo della Chiesa cattolica, motivava così l’introduzione caratteristica
delle immagini in questa opera: «… anche l’immagine è predicazione evangelica. Gli artisti di ogni
tempo hanno offerto alla contemplazione e allo stupore dei fedeli i fatti
salienti del mistero della salvezza, presentandoli nello splendore del colore e
nella perfezione della bellezza. E’ un indizio questo, di come oggi più che
mai, nella civiltà dell’immagine, l’immagine sacra possa esprimere molto
di più della stessa parola, dal momento
che è oltremodo efficace il suo dinamismo di comunicazione e di trasmissione
del messaggio evangelico» [20][25].
Il documento del Pontificio Consiglio della Cultura, Per
una pastorale della cultura, auspica «Nella nostra cultura,
contraddistinta da un diluvio di immagini spesso banali e brutali,
quotidianamente riversate dalle televisioni, dai film e dalle videocassette,
un’alleanza feconda tra il Vangelo e l’arte» per «nuove epifanie
di bellezza, nate dalla contemplazione del Cristo, Dio fatto uomo, dalla
meditazione dei suoi misteri, dal loro irraggiamento nella vita della Vergine
Maria e dei santi»(n. 36).
Il forte potere di comunicare, dell’arte sacra, rende
quest’ultima capace di oltrepassare le barriere e i filtri dei pregiudizi per
raggiungere il cuore degli uomini e delle donne di altre culture e religioni, e
dar loro modo di cogliere l’universalità del messaggio di Cristo e del suo
Vangelo. Perciò, quando un’opera d’arte ispirata dalla fede viene offerta al
pubblico nel quadro della sua funzione religiosa, essa si rivela come una «via»,
un «cammino di evangelizzazione e di dialogo» che dà la possibilità di
godere del patrimonio vivo del cristianesimo e, nel contempo, della fede
cristiana stessa.
Rileggere le opere d’arte cristiane, grandi o piccole,
artistiche o musicali, e ricollocarle nel loro contesto, approfondendo i loro
vincoli vitali con la vita della Chiesa, in particolare con la liturgia, vuol
dire far «parlare» di nuovo tali opere, consentendo ad esse di trasmettere il
messaggio che ne ha ispirato la creazione. La via pulchritudinis,
prendendo la via delle arti, conduce alla veritas della fede, a Cristo
stesso, divenuto «con l’Incarnazione, icona del Dio invisibile».
Giovanni Paolo II non ha esitato a manifestare la sua «convinzione che, in
un certo senso, l’icona è un sacramento: analogamente, infatti, a quanto
avviene nei Sacramenti, essa rende presente il mistero dell’Incarnazione
nell’uno o nell’altro suo aspetto» [21][26].
Le opere d’arte cristiane offrono al credente un tema
di riflessione e un aiuto per entrare in contemplazione in una preghiera
intensa, attraverso un momento di catechesi, come anche di confronto con la
Storia Sacra. I capolavori ispirati dalla fede sono vere “Bibbie dei poveri”,
“scale di Giacobbe” che elevano l’anima fino all’Artefice di ogni bellezza e,
con Lui, al mistero di Dio e di coloro che vivono nella sua visione beatifica:
«Visio Dei vita hominis» - «vita
dell'uomo é la visione di Dio», professa Sant’Ireneo[22][27]. Sono le vie
privilegiate di una autentica esperienza di fede.
La Lettera agli artisti di Papa Giovanni Paolo
II, che costituisce un riferimento fondamentale a tale riguardo, trova larga
eco nel documento del Pontificio Consiglio della Cultura, Per una pastorale
della cultura [23][28]. Le conferenze
episcopali possono prendere questi due testi come base di partenza per
iniziative concrete [24][29].
Mediante un’educazione appropriata, bisogna iniziare
al linguaggio della bellezza e sviluppare la capacità di cogliere il messaggio
dell’arte cristiana: ciò che fa belle le opere e, soprattutto, ciò che in esse
favorisce un incontro col mistero di Cristo. In questo campo, si manifesta una
presa di coscienza e si assiste ad una significativa ripresa degli studi
sull’arte sacra cristiana, ormai meglio conosciuta da coloro che hanno il
compito di dare una formazione cristiana[25][30].
Un importante lavoro di riformulazione teorica dell’insegnamento dell’arte
sacra a partire da un’autentica visione cristiana sembrerebbe particolarmente
necessaria di fronte alle interpretazioni ideologiche e atee largamente
diffuse.
Si tratta, inoltre, di creare le condizioni per il
rinnovamento della creazione artistica nella comunità cristiana, e quindi
allacciare legami personali con gli artisti e aiutarli a cogliere ciò che
permette a un’opera d’arte di essere veramente religiosa e degna dell’«arte
sacra». Se molto è stato fatto in questi ultimi decenni in numerose diocesi,
molto resta ancora da fare per valorizzare il ricchissimo patrimonio culturale
e artistico della Chiesa nato dalla fede cristiana, e utilizzarlo come
strumento di evangelizzazione, di catechesi e di dialogo. Non basta costruire
dei musei: bisogna consentire a questo patrimonio di poter esprimere il
contenuto del suo messaggio. Una liturgia veramente bella aiuta a entrare in
questo particolare linguaggio della fede, fatto di simboli e di evocazioni del
mistero celebrato.
Alcune iniziative già collaudate e, quindi, meritevoli
di particolare attenzione:
– Dialogo con gli artisti, pittori,
scultori, architetti di chiese da costruire, restauratori, musicisti, poeti,
drammaturghi, ecc., per alimentare il loro immaginario alle fonti della fede e,
nello stesso tempo, rimanere profondamente radicati nelle diverse culture, per
permettere nuove relazioni tra ciò che la Chiesa commissiona e la produzione
degli artisti. L’analfabetismo liturgico di alcuni artisti scelti per la
costruzione di chiese è un vero dramma largamente diffuso.
– Formazione alla bellezza del
mistero cristiano espresso nell’arte sacra, in occasione dell’inaugurazione di
una nuova chiesa, di un’opera d’arte, di un concerto, di una liturgia
particolare
– Organizzazione di eventi culturali
ed artistici - mostre, concorsi a premi, concerti, conferenze, festival, ecc. -
, per valorizzare l’immenso patrimonio della Chiesa e il suo messaggio, nonché
per favorire una nuova creatività, in particolare nel campo dell’arte e del
canto liturgico.
– Pubblicazioni locali sotto forma
di dépliant turistici, di pagine web o di riviste più specializzate sul
patrimonio, con l’intento pedagogico di mettere in evidenza l’anima,
l’ispirazione e il messaggio delle opere, e con un’analisi scientifica volta
alla comprensione profonda dell’opera.
– Sensibilizzazione degli operatori
pastorali, dei catechisti e degli insegnanti di religione, ma anche dei
seminaristi e del clero, attraverso corsi di formazione, seminari, incontri a
tema, visite guidate. I Musei diocesani e i Centri culturali cattolici possono
svolgere un ruolo importante, specialmente proponendo lo studio delle opere
d’arte locali o regionali, e favorirne l’impiego nella catechesi.
– Formazione di guide informate
sulla specificità dell’arte di ispirazione cristiana, creazione di gruppi
specializzati per la valorizzazione delle opere e di Centri culturali che
condividono queste stesse finalità.
– Studio e approfondimento della
problematica a livello scolastico e universitario, con dei master,
seminari, laboratori, ecc. Proposta di borse di studio o sussidi atti a
sensibilizzare le istanze educative. Sviluppo a livello regionale e nazionale
di Istituti di Musica sacra, di Liturgia, di Archeologia, ecc. e creazione di
biblioteche specializzate in questo campo.
III. 3. La bellezza di Cristo, modello e prototipo
della santità cristiana.
Se la bellezza della creazione è, secondo
Sant’Agostino, una «confessio» e invita a contemplare la bellezza
alla sua fonte, il «Creatore del cielo e della terra, dell’universo
visibile e invisibile», e se la bellezza delle opere d’arte ci svela
qualcosa della bellezza nella sua figura, il Figlio che si è fatto
carne, «il più bello dei figli dell’uomo», c’è una terza via
fondamentale – la prima per importanza – che conduce alla scoperta della bellezza
nell’icona della santità, opera dello Spirito che plasma la Chiesa ad
immagine di Cristo, modello di perfezione: è, per il battezzato, la bellezza
della testimonianza data mediante una vita trasformata nella grazia e, per la
Chiesa, la bellezza della liturgia che dà modo di sperimentare Dio, vivo in
mezzo al suo popolo, e che attira a Lui chi si lascia prendere nel suo
abbraccio tutto di gioia e d’amore.
L’Ecclesia de
caritate testimonia la bellezza di Cristo. Essa si manifesta come sua
Sposa, abbellita dal suo Signore, mentre compie i suoi atti di carità e le sue
scelte preferenziali, si impegna per la giustizia e l’edificazione della grande
casa comune in cui ogni creatura è chiamata a porre la propria dimora,
soprattutto i poveri: pure loro hanno diritto alla bellezza. Nello stesso
tempo, questa testimonianza della bellezza attraverso la carità e l’impegno al
servizio della giustizia e della pace, annuncia la speranza che non delude.
Proporre agli uomini e alle donne di oggi la vera bellezza, rendere la Chiesa
attenta ad annunciare sempre, opportunamente e inopportunamente, la bellezza
che salva, che si sperimenta laddove l’eternità ha posto la sua tenda nel
tempo, significa offrire ragioni di vita e di speranza a quelle e a quelli che
ne sono privi o che rischiano di perderle. Una Chiesa testimone del senso
ultimo della vita, fermento di fiducia nel cuore della storia umana, appare
quindi come il popolo della bellezza che salva, perché essa anticipa nel tempo
penultimo qualcosa della promessa bellezza di Dio tutto in tutti nell’ultimo
tempo. La speranza, anticipazione militante dell’avvenire del mondo redento,
promesso nel Figlio crocifisso e risorto, è annuncio della bellezza. Il mondo
ne ha particolarmente bisogno.
A) In
cammino verso la bellezza di Cristo. La singolare bellezza di Cristo, come modello di «vita
veramente bella», si riflette nella santità di una vita trasformata dalla
grazia. Molti, purtroppo, sentono il cristianesimo come sottomissione a dei
comandamenti fatti di divieti e di limiti alla libertà personale. Il Papa
Benedetto XVI lo ricordava durante un’intervista alla Radio Vaticana, il 14
agosto 2005, prima di partire per Colonia, per incontrare giovani provenienti
da tutto il mondo riuniti per le Giornate Mondiali della Gioventù. E diceva tra
l’altro: «Io, invece, vorrei far loro capire che essere sostenuti da un
grande Amore e da una rivelazione non è un fardello: ciò dà delle ali ed è
bello essere cristiani. Questa esperienza dà ampiezza… La gioia di essere
cristiani: è bello ed è anche giusto credere»[26][31].
Dalla bellezza interiore e dalla profonda emozione provocata dall’incontro con
la Bellezza in persona – pensiamo all’esperienza di Sant’Agostino – nasce la
capacità di proporre eventi di bellezza in tutte le dimensioni dell’esistenza e
dell’esperienza di fede.
La pastorale della Chiesa, per portare all’incontro
col Cristo, trova nella presentazione della sua bellezza il mezzo per destare i
cuori a tale scoperta. Nella sua Lettera agli artisti, il Papa Giovanni
Paolo II metteva in rilievo la fecondità della novità dell’Incarnazione: «Facendosi
uomo, infatti, il Figlio di Dio ha introdotto nella storia dell’umanità tutta
la ricchezza evangelica della verità e del bene, e con essa ha svelato anche
una nuova dimensione della bellezza: il messaggio evangelico ne è colmo fino all’orlo» (n. 5). Questa
bellezza, così particolare e unica, del «figlio dell’uomo» si
rivela sia sul volto del «Bel Pastore»
che su quello del Cristo trasfigurato sul Tabor e, nello stesso tempo, su Colui
che ha perduto, sospeso alla Croce, ogni bellezza corporale: L’Uomo dei
dolori. In particolare, il cristiano vede nella deformità del Servo
sofferente, spogliato di ogni bellezza esteriore, la manifestazione dell’amore
infinito di Dio che giunge sino a rivestirsi della bruttura del peccato per
elevarci, al di là dei sensi, alla bellezza divina che supera ogni altra
bellezza e mai si corrompe. L’icona del Crocifisso, dal volto sfigurato,
racchiude in sé, per chi vuole contemplarlo, la misteriosa bellezza di Dio. È
la Bellezza che si compie nel dolore, nel dono di sé senza alcun ritorno per
sé. La Bellezza dell’amore, che è più
forte del male e della morte
B) La
bellezza luminosa di Cristo e il suo riflesso nella santità cristiana. Cristo Gesù è la perfetta
rappresentazione della Gloria del Padre. Egli è «Il più bello dei figli
dell’uomo», perché possiede la pienezza della Grazia mediante la quale Dio
libera l’uomo dal peccato, lo strappa alle tenebre del male e lo restituisce
alla sua innocenza originaria. In ogni luogo e in ogni epoca, una moltitudine
di uomini e di donne si è lasciata afferrare da questa bellezza per dedicarsi
ad essa. Papa Benedetto XVI si esprimeva così durante la prima canonizzazione
del suo pontificato e la messa di chiusura della XI Assemblea ordinaria del
Sinodo dei Vescovi sull’Eucaristia: «Il santo è colui che è talmente
affascinato dalla bellezza di Dio e dalla sua perfetta verità da esserne
progressivamente trasformato. Per questa bellezza e verità è pronto a
rinunciare a tutto, anche a se stesso» (23 ottobre 2005).
Se la santità cristiana si configura alla bellezza del
Figlio, l’Immacolata Concezione è la più perfetta illustrazione di questa
«opera di bellezza». La Vergine Maria e i santi sono i riflessi luminosi e i
testimoni attraenti della bellezza singolare di Cristo, bellezza dell’amore
infinito di Dio che si dà e si comunica agli uomini. Essi riflettono, ciascuno
a suo modo, come i prismi del cristallo, le sfaccettature del diamante, i
contorni dell’arcobaleno, la luce e la bellezza originaria del Dio d’amore. La
santità degli uomini è partecipazione alla santità di Dio e, quindi, alla sua
bellezza; questa, accolta pienamente nel cuore e nella mente, illumina e guida
la vita degli uomini e le loro azioni quotidiane.
La bellezza della testimonianza cristiana esprime la bellezza
del cristianesimo e, per di più, la rende visibile. «Come possiamo essere
credibili nel nostro annuncio di una “buona notizia”, se la nostra vita non
riesce a manifestare anche la “bellezza”del vivere?». Dall’incontro di fede
con Cristo nascono così, in un dinamismo interiore sostenuto dalla Grazia, la
santità dei discepoli e la loro capacità di rendere «bella e buona» la loro
vita e quella del loro prossimo. Non è una bellezza esteriore e
superficiale, tutta di facciata, ma una bellezza interiore che si delinea sotto
l’azione dello Spirito Santo. Essa risplende davanti agli uomini: nessuno può
nascondere ciò che è parte essenziale del proprio essere.
Era, questo, l’appello di Giovanni Paolo II ai
consacrati, nell’Esortazione apostolica post-sinodale Vita consecrata: «Ma
è soprattutto a voi, donne e uomini consacrati, che al termine di questa
Esortazione rivolgo il mio appello fiducioso: vivete pienamente la vostra
dedizione a Dio, per non lasciar mancare a questo mondo un raggio della divina
bellezza che illumini il cammino dell’esistenza umana. I cristiani, immersi
nelle occupazioni e nelle preoccupazioni di questo mondo, ma chiamati anch’essi
alla santità, hanno bisogno di trovare in voi cuori purificati che nella fede
“vedono” Dio, persone docili all’azione dello Spirito Santo che camminano
spedite nella fedeltà al carisma della chiamata e della missione» (n. 109).
Dove risplende la carità, lì si manifesta la bellezza che salva, lì è resa
gloria al Padre, lì cresce l’unità dei discepoli di Nostro Signore beneamato.
Pavel Florenskij, cantore russo della bellezza,
martire del XX secolo, così commenta un passo del Vangelo di San Matteo (5,
16): «I vostri “atti buoni” non vuole affatto dire “atti buoni” in senso
filantropico e moralistico: tà kalà erga vuol dire “atti belli”, rivelazioni
luminose e armoniose della personalità spirituale – soprattutto, un volto
luminoso, bello, di una bellezza per cui si espande all’esterno “l’interna
luce” dell’uomo, e allora vinti dall’irresistibilità di questa luce, gli uomini
lodano il Padre celeste, la cui immagine sulla terra così sfolgora»[27][32]. Pertanto, la vita cristiana è chiamata a
diventare, con la forza della Grazia donata dal Cristo risorto, un evento di
bellezza capace di suscitare ammirazione, dare origine alla riflessione e
incitare alla conversione. L’incontro con Cristo e con i suoi discepoli, in
particolare con Maria sua madre e con i santi, suoi testimoni, deve poter
sempre diventare, in tutte le circostanze, un evento di bellezza, un momento di
gioia, scoperta di una nuova dimensione dell’esistenza, una esortazione a
rimettersi in cammino verso la Patria Celeste e di godere della visione della «Verità
tutta intera», della bellezza dell’Amore di Dio: la bellezza è splendore
della Verità e fioritura dell’Amore.
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