Ordini professionali,
chi rappresenta gli architetti?
Una delle cause
dell’attuale debolezza della figura professionale dell’architetto
risiede nell’ambiguità e nella crisi della sua rappresentanza. Si
stenta a capire come sia possibile, nell’infinita gemmazione di organismi
regionali – Cup, Consulte e Federazioni, Cna, Ordini provinciali e Fondazioni
private, sigle sindacali, associazioni più o meno libere e organizzate – che le
necessità e le emergenze di questa categoria rimangano pressoché
inascoltate.
L’inesistenza di una
adeguata rappresentanza si spiega con la clamorosa e paradossale contraddizione
in termini, che vede il Cna e gli Ordini Provinciali (privi di potere
sindacale) dialogare con i governi, ed incidere – con decisioni calate
dall’alto – sulla vita professionale dell’architetto, senza che quest’ultimo
sia neppure consultato e abbia diritto di parola.
Infatti, come noto,
l’Ordine provinciale è un ente di diritto pubblico posto sotto la
vigilanza del ministero della Giustizia. Esso svolge il ruolo di magistratura
di terzo grado, avente il fine di garantire la qualità delle attività svolte
dai professionisti, con il compito di tenere aggiornato l’albo e il codice
deontologico, tutelando la professionalità della categoria. Il Cna invece, è un
organismo istituito presso il Ministero della Giustizia con la Legge n.
1395/23, che non dovrebbe svolgere altro che funzioni di seconda magistratura
con riferimento alla deontologia, e del quale non si capisce la ragione di
esistere, neppure scorrendo il profilo informativo del sito ufficiale, dove si
legge, come unico e incerto indizio, che “assume delle determinazioni al
fine di fornire il proprio parere e la propria interpretazione in merito a
provvedimenti e leggi concernenti l’esercizio della professione”.
Ricapitolando: gli
Ordini provinciali , (ben 105 distribuiti su tutto il territorio nazionale) –
che dopo il DPR 137/2012 possono tenere esclusivamente l’albo e organizzare la formazione
continua, assieme al Cna organismo (ricordiamolo) con sole funzioni di
seconda magistratura – dialogano (!) con i governi e decidono su questioni strategiche,
quali l’eliminazione delle tariffe minime, la formazione obbligatoria
continua, l’adesione al Codice degli appalti e sull’appalto integrato, il
sistema delle gare di progettazione e la legge della qualità dell’architettura.
Non deve stupire
allora, che esista un concreto e urgente problema della rappresentanza degli
architetti in presenza di un tale sistema perverso, controverso e contrario ad
ogni criterio di trasparenza: è conclamato che le difficoltà che si
trovano ad affrontare oggi gli architetti siano originate proprio dal Cna e
dagli Ordini provinciali; o meglio, dallo sconfinamento delle loro reali
funzioni istituzionali, nel momento in cui dialogano con i governi, senza –
dobbiamo supporre, considerati i i risultati – le dovute, necessarie
competenze, capacità critiche, deleghe di rappresentanza. E senza nemmeno la
capacità (o la volontà?) di rendicontare in modo trasparente quanto comunque
determinato.
In questo limbo di
pertinenze, gli architetti rimangono sospesi senza diritti, senza tutele
e senza voce. Non possono e non sanno a chi rivolgersi: tartassati dalla
recente e iniqua riforma Inarcassa, che non ha trovato opposizione reale
tra chi, pur interloquendo in rappresentanza con i governi (senza essere
sindacato), sta decidendo comunque della vita professionale di 150.000
architetti senza interpellarli.
Come se
non bastasse, ad alimentare la confusione e ad aumentare le spese degli
iscritti – oltre all’inutile e oneroso pachiderma Cna – ci hanno pensato i
Consiglieri e Presidenti dei maggiori Ordini provinciali di turno, che, per
assecondare le proprie ambizioni, (chi più, chi meno in buona fede)
hanno dato corso, negli anni, ad una progressiva quanto inesorabile metamorfosi
degli Ordini, che li ha portati a distanze siderali dalla loro vocazione
originaria e dalle disposizioni. Come nella riproduzione agamica degli
organismi unicellulari, gli Ordini hanno triplicato le loro spese
distribuendo a piene mani deleghe, consulenze e funzioni: si sono dotati di società private, canali televisivi, librerie di architettura, case editrici e
persino di associazioni ludiche e
squadre di calcio; da ultimo, delle Fondazioni private,
nell’insensata rincorsa alla Formazione obbligatoria a pagamento. Il
tutto rigorosamente con le quote degli iscritti e contro ogni prescrizione di
legge; risulta francamente difficile capire come tutto questo proliferare di
discutibili iniziative possa aver giovato alla professione, visti gli esiti, di
cui peraltro paghiamo le conseguenze.
Quanti ancora
individuano nel potenziamento delle funzioni degli Ordini provinciali la
soluzione del problema della rappresentanza degli architetti, non possono che
arrendersi all’evidenza: essi sono l’incarnazione di un pasticciaccio tutto
italiano che trasuda furbizia, provincialismo e corporativismo da
ogni singola propaggine; sono l’espressione più fedele e radicata delle pastoie
che frenano il sistema Italia.
Realisticamente e
paradossalmente, non ci rimane che un’unica, sensata possibilità: liberarcene.
Abolire – cioè – il Cna; svuotare gli Ordini riducendoli di numero,
accorpandoli, limitandone tassativamente le funzioni al mantenimento dell’albo
con una quota obbligatoria minima e delegando la deontologia al
Ministero della Giustizia, (a garanzia anche dell’applicazione reale delle
norme e delle sanzioni deontologiche ).
Una simile opzione
rappresenta l’unica via di uscita per tentare di ricostruire una significativa
rappresentanza degli Architetti, con la quale farci ascoltare e provare ad
uscire dalle sabbie mobili in cui da troppo tempo siamo costretti e
immobilizzati.
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