lunedì 15 aprile 2013

IL LINGUAGGIO DELLA PERSUASIONE ( Etica Retorica)


Il linguaggio della persuasione

Uno degli aspetti più rilevanti e per certi versi inquietanti della vita civile e sociale dei nostri tempi è la retorica della persuasione. Si tende a creare un modello di opinione che si diffonde come una pianta infestante o come il suggello di un azione meritoria, a seconda dei casi. La persuasione, ampiamente studiata e adottata dagli oratori greci antichi (Oratoria attica) è importante quanto la stessa capacità di stabilire regole etiche e limiti alla sua “estensione”, oggi drammaticamente e ampiamente diffusa(pubblicità e creazione del consenso). Tre sono i generi dell’Oratoria attica rappresentate dai più significativi agenti di ciascuno di essi: Lisia (Contro Eratostene), Isocrate (Panegirico) e Demostene (III Filippica).  


 
Contro Eratostene è la prima e più lunga orazione lisiana che ci sia giunta ed è pure la sola che pronunziò di persona. Tutte le altre, infatti, furono scritte da lui come logografo e pronunziate poi dagli interessati. Con questa orazione certamente Lisia voleva vendicare il fratello morto sotto i 30 tiranni: il processo, pare, si svolse negli ultimi mesi del 403 a.C.. Eccone in breve il riassunto: ai 30 ed ai loro collaboratori il governo democratico aveva concesso un'amnistia. Eratostene, però, per riabilitarsi del tutto, si sottopose ad un processo e l'accusatore è proprio il nostro Lisia che gli addebitò la responsabilità della morte del fratello. L'esordio fu da maestro per la forza oratoria e per l'abilità nell'esporre le argomentazioni che sono presentate in uno stile semplice e piano da sembrare del tutto obiettive per passione e calore. Queste caratteristiche si notano, più che nelle altre orazioni, per il fatto che egli è mosso da odio personale. L'esito è incerto, ma molto probabilmente Eratostene fu assolto. Come mai, ci viene da chiedere, l'orazione di Lisia non ebbe l'effetto sperato considerando che l'oratore fu perfetto e l'accusato senza dubbio colpevole? La risposta è abbastanza semplice: Lisia commise un grave errore di natura psicologica attaccando Eratostene seguace di Teramene. Quest'ultimo, infatti, nell'ambito dei Trenta, si era opposto alla corrente oltranzista capeggiata da Crizia e proprio per questo era stato ucciso. Ora nella mente degli Ateniesi era ancora radicato il ricordo di un Teramene buono, simbolo della libertà . D'altra parte, essendosi da poco riconciliati i due partiti, era vietato ai cittadini perseguire qualcuno per le passate persecuzioni.
È strano, poi, che Lisia, meteco isotele, sia potuto intervenire in un processo di rendiconto. Sembra, perciò, che allora egli godesse ancora dell'effimero diritto di cittadinanza conferitogli su proposta di Trasibulo e poi soppresso perché la stessa non era stata sottoposta al giudizio della "boulè".
 

Documento del programma politico di Isocrate è il Panegirico (380 a.C.). Il titolo richiama le "Panegire", riunioni festive che vedevano tutta la grecità unita nella comune identità di sangue e cultura per celebrare i suoi eroi una volta abbandonate le lunghe ed estenuanti guerre. Isocrate mira appunto a risuscitare quel clima. Vuole che la Grecia ritorni all'antica gloria, che Sparta e Atene si riconcilino, che Atene riprenda il posto di potenza egemone. C'è un bisogno nuovo di solidarietà più stretta tra i Greci. La Grecia deve trovare in sé la forza per giungere alla pacificazione, alla "concordia" nazionale. Parlare di unità nazionale sarebbe fuori luogo: tuttavia nel dissolversi del sistema delle poleis emergono nuove tendenze aggregatrici che vanno al di là dell'ambito delle poleis stesse: i cittadini infatti si sentono sempre meno cittadini e sempre più Greci, prendendo coscienza del fatto di vivere uniti dalla stessa cultura, ben più importante del vincolo di sangue.

Demostene pronuncia la Terza Filippica, che rappresenta ila momento più alto della sua eloquenza. L’oratore accusa apertamente Filippo di avere violato con i fatti la pace, e propone che si lanci un appello alle città per la comune difesa dell’Ellade. La Terza Filippica fu pronunciata alcune settimane più tardi della seconda e riprende e amplifica la denuncia degli atti e delle ambizioni di Filippo e propone un insieme di misure militari e diplomatiche per salvaguardare la libertà di Atene e quella di tutti i Greci. Ogni seduta dell’Assemblea, o quasi, dava luogo a dibattiti su Filippo. Nessuno osava più sostenere che il re macedone era dalla parte del diritto, ma molti oratori mettevano in guardia il popolo contro i rischi di una politica che portava inevitabilmente alla guerra. Tessere gli elogi di Filippo era diventato compromettente, ma fare l’elogio della pace restava ancora popolare. Demostene ammetteva che la pace era preferibile alla guerra, ma gli Ateniesi non dovevano farsi ingannare dal vocabolario usato da Filippo. Potevano, se lo volevano, imitare la sua ipocrisia; l’essenziale è che restassero lucidi. Demostene ricorda poi che Filippo aveva iniziato le sue conquiste sempre con guerre non dichiarate; lungi dal denunciare la slealtà del re, adotta il suo punto di vista cinico e dichiara che sarebbe stato “il più stupido degli uomini” se non avesse approfittato della ingenuità dei suoi avversari. Per contrastare l’avanzata di Filippo gli Ateniesi avevano bisogno innanzitutto di lucidità, dovevano comprendere che gli interventi o i progetti d’intervento, di Filippo a Megara, in Eubea, in Tracia, nel Peloponneso erano una “macchina da guerra” contro Atene. Quindi egli amplia la sua analisi e propone al popolo di “deliberare sulla situazione di tutti i Greci perché si trovano in enorme pericolo”. Nella comparazione fra il dominio esercitato da Filippo e le egemonie del passato gli sembrava che l’elemento determinante che colpiva di più, era la passività dei Greci di fronte a Filippo: essi non avevano accettato le ingiustizie di Spartani e Ateniesi, in passato, ma hanno concesso a Filippo il diritto “che agisca a suo piacimento, derubi in tale maniera una popolazione greca dopo l’altra, assalga e sottometta la città”. La causa di questo nuovo male era che i Greci non avevano più in orrore gli uomini politici corrotti e che perciò questi ultimi potevano impunemente manovrare a favore di Filippo. Demostene si guarda dalla facile spiegazione secondo la quale i traditori venduti alla Macedonia sarebbero stati dei capri espiatori responsabili, essi soli, dei mali delle città greche; al popolo che li tollerava e li ascoltava spettava una grave responsabilità. Per sottolineare la decadenza ateniese, Demostene cita e commenta un’iscrizione nella quale gli Ateniesi di un tempo avevano fissato la loro censura legale nei confronti di un greco che aveva tentato di corrompere dei peloponnesiaci a favore del re di Persia: un bell’esempio di severità e di panellenismo al tempo stesso. Demostene passa allora alla confutazione delle frasi rassicuranti di coloro che affermano che Filippo è meno potente dei Lacedemoni agli inizi del 4° sec., cui pure gli Ateniesi avevano saputo resistere. Con il contesto nel quale colloca la discussione, l’oratore suggerisce che coloro che ragionano così sono dei traditori, venduti a Filippo. Demostene dimostra infatti che il parallelo era erroneo perché Filippo aveva introdotto molte innovazioni nell’arte della guerra e conclude con estrema lucidità che gli Ateniesi potevano avere un certo vantaggio in una guerra a distanza, soprattutto perché il territorio di Filippo era vulnerabile ad attacchi marittimi, ma che “era preparato meglio di noi per una battaglia campale”. Demostene riprende a questo punto la denuncia del nemico interno rievocando il ruolo svolto dai traditori filippizzanti nella caduta di molte città (soprattutto Olinto), ma sottolinea anche che quegli uomini politici avevano beneficiato del sostegno popolare perché il popolo preferiva la politica comoda che essi proponevano. La negligenza del popolo permetteva il tradimento dei filippizzanti. Dopo aver così screditato ogni attendismo pacifistico come compiacenza nei confronti di Filippo, Demostene espone poi un piano di controffensiva che si propone di sottoporre al popolo in forma di decreto. I Greci dovevano urgentemente cambiare abitudini. Spettava agli Ateniesi reagire e far reagire le altre città. Dovevano costituire una rete di alleanze il più possibile estesa (Demostene suggerisce anche d’inviare un’ambasciata al re di Persia “perché non si distacca nemmeno dai suoi interessi impedire a Filippo di mettere sotto sopra tutto”). Dovevano intanto preparare delle triremi, denaro, soldati: quello sforzo militare era indispensabile per far prendere sul serio le proprie iniziative diplomatiche. Poco tempo dopo la Terza Filippica, gli Ateniesi e Demostene in particolare ottennero un grande successo, diplomatico e militare insieme, in Eobea. In molte città dell’isola e in particolare ad Oreo ed in Eretria, alcune fazioni oligarchiche tentarono d’imporre il loro potere grazie al sostegno di Filippo; i ripetuti interventi di contingenti macedoni nel 342 giunsero a risultati limitati, continuamente messi in discussione. La situazione del 348 si era ribaltata: stanchi dei macedoni, i fautori dell’indipendenza e unità dell’Eubea guardavano ad Atene. Deluso da Filippo che non l’avevano sostenuto, Callia di Calcide, che aveva animato la rivolta del 348, chiese l’alleanza Ateniese e la ottenne grazie al sostegno di Demostene. Truppe Ateniesi lo aiutarono ad abbattere le ultime oligarchie promacedoni (giugno 341). La nuova confederazione euboica organizzata da Callia era alleata di Atene, ma le città dell’Eubea non entrarono individualmente nella seconda Confederazione di Delo e non pagarono contributi ad Atene. Eschine rimproverò a Demostene di avere privato così la città di una importante fonte di reddito (contro Ctesifonte): una critica di questo tipo indicava la sua ristrettezza di vedute o piuttosto quella che attribuiva al popolo. L’innovazione diplomatica consigliata da Demostene dimostrava al contrario la sua forza di immaginazione, la sua sottigliezza e abilità: se Atene voleva trovare in fretta molti alleati doveva dimostrare con il suo comportamento di avere rinunciato ad ogni intenzione imperialistica. I benefici di quel nuovo atteggiamento superarono rapidamente i confini dell’Eubea: Callia sostenne attivamente la campagna diplomatica di Demostene in vista della costituzione di una lega ellenica contro Filippo.

Selezione oratori attici (Ugo Arioti)

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