Il linguaggio della persuasione
Uno degli aspetti più rilevanti e per certi
versi inquietanti della vita civile e sociale dei nostri tempi è la retorica
della persuasione. Si tende a creare un modello di opinione che si diffonde
come una pianta infestante o come il suggello di un azione meritoria, a seconda
dei casi. La persuasione, ampiamente studiata e adottata dagli oratori greci
antichi (Oratoria attica) è importante quanto la stessa capacità di stabilire
regole etiche e limiti alla sua “estensione”, oggi drammaticamente e ampiamente
diffusa(pubblicità e creazione del consenso). Tre sono i generi dell’Oratoria attica rappresentate dai più
significativi agenti di ciascuno di essi: Lisia (Contro Eratostene), Isocrate
(Panegirico) e Demostene (III Filippica).
Contro Eratostene è la
prima e più lunga orazione lisiana che ci sia giunta ed è pure la sola che
pronunziò di persona. Tutte le altre, infatti, furono scritte da lui come logografo
e pronunziate poi dagli interessati. Con questa orazione certamente Lisia
voleva vendicare il fratello morto sotto i 30 tiranni: il processo, pare, si
svolse negli ultimi mesi del 403 a.C.. Eccone in breve il riassunto: ai 30 ed
ai loro collaboratori il governo democratico aveva concesso un'amnistia.
Eratostene, però, per riabilitarsi del tutto, si sottopose ad un processo e
l'accusatore è proprio il nostro Lisia che gli addebitò la responsabilità della
morte del fratello. L'esordio fu da maestro per la forza oratoria e per
l'abilità nell'esporre le argomentazioni che sono presentate in uno stile
semplice e piano da sembrare del tutto obiettive per passione e calore. Queste
caratteristiche si notano, più che nelle altre orazioni, per il fatto che egli
è mosso da odio personale. L'esito è incerto, ma molto probabilmente Eratostene
fu assolto. Come mai, ci viene da chiedere, l'orazione di Lisia non ebbe
l'effetto sperato considerando che l'oratore fu perfetto e l'accusato senza
dubbio colpevole? La risposta è abbastanza semplice: Lisia commise un grave
errore di natura psicologica attaccando Eratostene seguace di Teramene.
Quest'ultimo, infatti, nell'ambito dei Trenta, si era opposto alla corrente
oltranzista capeggiata da Crizia e proprio per questo era stato ucciso. Ora
nella mente degli Ateniesi era ancora radicato il ricordo di un Teramene buono,
simbolo della libertà . D'altra parte, essendosi da poco riconciliati i due
partiti, era vietato ai cittadini perseguire qualcuno per le passate persecuzioni.
È strano, poi, che Lisia, meteco isotele, sia potuto intervenire in un processo di rendiconto. Sembra, perciò, che allora egli godesse ancora dell'effimero diritto di cittadinanza conferitogli su proposta di Trasibulo e poi soppresso perché la stessa non era stata sottoposta al giudizio della "boulè".
È strano, poi, che Lisia, meteco isotele, sia potuto intervenire in un processo di rendiconto. Sembra, perciò, che allora egli godesse ancora dell'effimero diritto di cittadinanza conferitogli su proposta di Trasibulo e poi soppresso perché la stessa non era stata sottoposta al giudizio della "boulè".
Documento del programma politico di Isocrate è il
Panegirico (380 a.C.). Il titolo richiama le "Panegire", riunioni
festive che vedevano tutta la grecità unita nella comune identità di sangue e
cultura per celebrare i suoi eroi una volta abbandonate le lunghe ed estenuanti
guerre. Isocrate mira appunto a risuscitare quel clima.
Vuole che la Grecia ritorni all'antica gloria, che Sparta e Atene si riconcilino, che Atene
riprenda il posto di potenza egemone. C'è un bisogno nuovo di solidarietà più
stretta tra i Greci. La Grecia deve trovare in sé la forza per giungere alla
pacificazione, alla "concordia" nazionale. Parlare di unità nazionale
sarebbe fuori luogo: tuttavia nel dissolversi del sistema delle poleis emergono
nuove tendenze aggregatrici che vanno al di là dell'ambito delle poleis stesse:
i cittadini infatti si
sentono sempre meno cittadini e sempre più Greci, prendendo
coscienza del fatto di vivere uniti dalla stessa cultura, ben più importante
del vincolo di sangue.
Demostene pronuncia la Terza Filippica, che rappresenta ila momento più
alto della sua eloquenza. L’oratore accusa apertamente Filippo di avere violato
con i fatti la pace, e propone che si lanci un appello alle città per la comune
difesa dell’Ellade. La Terza Filippica fu pronunciata alcune settimane più
tardi della seconda e riprende e amplifica la denuncia degli atti e delle
ambizioni di Filippo e propone un insieme di misure militari e diplomatiche per
salvaguardare la libertà di Atene e quella di tutti i Greci. Ogni seduta
dell’Assemblea, o quasi, dava luogo a dibattiti su Filippo. Nessuno osava più
sostenere che il re macedone era dalla parte del diritto, ma molti oratori
mettevano in guardia il popolo contro i rischi di una politica che portava inevitabilmente
alla guerra. Tessere gli elogi di Filippo era diventato compromettente, ma fare
l’elogio della pace restava ancora popolare. Demostene ammetteva che la pace
era preferibile alla guerra, ma gli Ateniesi non dovevano farsi ingannare dal
vocabolario usato da Filippo. Potevano, se lo volevano, imitare la sua
ipocrisia; l’essenziale è che restassero lucidi. Demostene ricorda poi che
Filippo aveva iniziato le sue conquiste sempre con guerre non dichiarate; lungi
dal denunciare la slealtà del re, adotta il suo punto di vista cinico e
dichiara che sarebbe stato “il più stupido degli uomini” se non avesse
approfittato della ingenuità dei suoi avversari. Per contrastare l’avanzata di
Filippo gli Ateniesi avevano bisogno innanzitutto di lucidità, dovevano
comprendere che gli interventi o i progetti d’intervento, di Filippo a Megara,
in Eubea, in Tracia, nel Peloponneso erano una “macchina da guerra” contro
Atene. Quindi egli amplia la sua analisi e propone al popolo di “deliberare
sulla situazione di tutti i Greci perché si trovano in enorme pericolo”. Nella
comparazione fra il dominio esercitato da Filippo e le egemonie del passato gli
sembrava che l’elemento determinante che colpiva di più, era la passività dei
Greci di fronte a Filippo: essi non avevano accettato le ingiustizie di
Spartani e Ateniesi, in passato, ma hanno concesso a Filippo il diritto “che
agisca a suo piacimento, derubi in tale maniera una popolazione greca dopo
l’altra, assalga e sottometta la città”. La causa di questo nuovo male era che
i Greci non avevano più in orrore gli uomini politici corrotti e che perciò
questi ultimi potevano impunemente manovrare a favore di Filippo. Demostene si
guarda dalla facile spiegazione secondo la quale i traditori venduti alla
Macedonia sarebbero stati dei capri espiatori responsabili, essi soli, dei mali
delle città greche; al popolo che li tollerava e li ascoltava spettava una
grave responsabilità. Per sottolineare la decadenza ateniese, Demostene cita e
commenta un’iscrizione nella quale gli Ateniesi di un tempo avevano fissato la
loro censura legale nei confronti di un greco che aveva tentato di corrompere
dei peloponnesiaci a favore del re di Persia: un bell’esempio di severità e di
panellenismo al tempo stesso. Demostene passa allora alla confutazione delle
frasi rassicuranti di coloro che affermano che Filippo è meno potente dei
Lacedemoni agli inizi del 4° sec., cui pure gli Ateniesi avevano saputo
resistere. Con il contesto nel quale colloca la discussione, l’oratore
suggerisce che coloro che ragionano così sono dei traditori, venduti a Filippo.
Demostene dimostra infatti che il parallelo era erroneo perché Filippo aveva
introdotto molte innovazioni nell’arte della guerra e conclude con estrema
lucidità che gli Ateniesi potevano avere un certo vantaggio in una guerra a
distanza, soprattutto perché il territorio di Filippo era vulnerabile ad
attacchi marittimi, ma che “era preparato meglio di noi per una battaglia
campale”. Demostene riprende a questo punto la denuncia del nemico interno
rievocando il ruolo svolto dai traditori filippizzanti nella caduta di molte
città (soprattutto Olinto), ma sottolinea anche che quegli uomini politici
avevano beneficiato del sostegno popolare perché il popolo preferiva la
politica comoda che essi proponevano. La negligenza del popolo permetteva il
tradimento dei filippizzanti. Dopo aver così screditato ogni attendismo
pacifistico come compiacenza nei confronti di Filippo, Demostene espone poi un
piano di controffensiva che si propone di sottoporre al popolo in forma di
decreto. I Greci dovevano urgentemente cambiare abitudini. Spettava agli
Ateniesi reagire e far reagire le altre città. Dovevano costituire una rete di
alleanze il più possibile estesa (Demostene suggerisce anche d’inviare
un’ambasciata al re di Persia “perché non si distacca nemmeno dai suoi
interessi impedire a Filippo di mettere sotto sopra tutto”). Dovevano intanto
preparare delle triremi, denaro, soldati: quello sforzo militare era
indispensabile per far prendere sul serio le proprie iniziative diplomatiche.
Poco tempo dopo la Terza Filippica, gli Ateniesi e Demostene in particolare
ottennero un grande successo, diplomatico e militare insieme, in Eobea. In
molte città dell’isola e in particolare ad Oreo ed in Eretria, alcune fazioni
oligarchiche tentarono d’imporre il loro potere grazie al sostegno di Filippo;
i ripetuti interventi di contingenti macedoni nel 342 giunsero a risultati
limitati, continuamente messi in discussione. La situazione del 348 si era
ribaltata: stanchi dei macedoni, i fautori dell’indipendenza e unità dell’Eubea
guardavano ad Atene. Deluso da Filippo che non l’avevano sostenuto, Callia di
Calcide, che aveva animato la rivolta del 348, chiese l’alleanza Ateniese e la
ottenne grazie al sostegno di Demostene. Truppe Ateniesi lo aiutarono ad
abbattere le ultime oligarchie promacedoni (giugno 341). La nuova
confederazione euboica organizzata da Callia era alleata di Atene, ma le città
dell’Eubea non entrarono individualmente nella seconda Confederazione di Delo e
non pagarono contributi ad Atene. Eschine rimproverò a Demostene di avere
privato così la città di una importante fonte di reddito (contro Ctesifonte):
una critica di questo tipo indicava la sua ristrettezza di vedute o piuttosto
quella che attribuiva al popolo. L’innovazione diplomatica consigliata da
Demostene dimostrava al contrario la sua forza di immaginazione, la sua
sottigliezza e abilità: se Atene voleva trovare in fretta molti alleati doveva
dimostrare con il suo comportamento di avere rinunciato ad ogni intenzione imperialistica.
I benefici di quel nuovo atteggiamento superarono rapidamente i confini
dell’Eubea: Callia sostenne attivamente la campagna diplomatica di Demostene in
vista della costituzione di una lega ellenica contro Filippo.
Selezione oratori attici (Ugo Arioti)
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