martedì 2 aprile 2013

Retorica arte e rischi - La democrazia, il consenso e il battito di mani, dall'antica Roma a oggi


Un articolo sul corriere della sera ci riporta all'argomento del 2013 per la Scuola di ecologia Culturale: La Retorica. L'arte oratoria è servita alla democrazia e alle altre forme di formazione del consenso e, quando arriva al cuore delle masse che insegue, l'effetto è immediato e istintivo e si traduce con un atto semplice quanto profondo e, per certi bersi, pericoloso: l'applauso. Il battito delle mani scandisce i termini e l'estensione del consenso.  Istintivamente siamo votati ad essere parte di una grande catena umana che si compone attraverso un consenso alle parole che stimolano o indicano o semplicemente delineano lo scenario nel quale siamo portati a scegliere come "tifosi" piuttosto che come individui pensanti e in questo largo consenso si spegne ogni resistenza. Marta Serafini ci racconta come per ogni potere è importante ricevere, come per ogni artista, attore o regista, un grande e profondo applauso.

Ugo Arioti

La democrazia, il consenso e il battito di mani. Dall'antica Roma a oggi

Marta Serafini ( corriere.it)

E’ uno dei gesti più inconsci che il nostro cervello ci porta a fare. Lo controlliamo poco. E spesso, molto spesso, lasciamo che sia la folla a determinarne inizio, intensità, durata. Noi semplicemente seguiamo la scia, ci adeguiamo, e qualche volta ci omologhiamo, anche se non siamo del tutto convinti della sua opportunità.
L’applauso. Battito di mani che esprime consenso. Se ne sono accorti anche negli Stati Uniti. Il gesto ha origini antiche. Nell’antica Mesopotamia veniva utilizzato per coprire le grida delle vittime sacrificali durante i riti religiosi. E nell’antica Roma era riservato ai gladiatori che combattevano e uccidevano nell’Arena. Folle e sangue non sono state però le madri del battito di mani. In realtà, per trovare le prime testimonianze bisogna risalire al teatro greco. L’idea originaria era quella di esprimere approvazione con rumori, si battevano i palmi e pestavano i piedi. L’uso passò poi ai Romani, il cui entusiasmo era spesso così scomposto da arrivare alla violenza.  Non a caso, l’imperatore Augusto intervenne e regolò gli applausi, imponendo un disciplinatore che dava il segnale di inizio.
L’entusiasmo del popolo e della plebe passarono sotto il controllo del potere. Presto il battito delle mani divenne molto importante in politica. Un equivalente dell’exit poll o del sondaggio di oggi. Il senatore il cui discorso conquistava più plauso sarebbe stato molto probabilmente il vincitore. La folla però era imprevedibile, incontrollabile. Ecco perché l’avvento dell’impero trasformò l’applauso in qualcosa di obbligato. Quando Cesare entrava nel Colosseo o tornava a Roma reduce da una campagna militare, il plauso del popolo gli era dovuto. Fu allora che nacque il concetto di claque. Tu, pubblico, devi battere le mani quando te lo dico io che ti obbligo o ti incentivo a seconda di quanto potere esercito su te. E’ un attimo. E le folle oceaniche di Roma si reincarnano in quelle della Germania di Hitler, della Cuba di Castro o della Corea di Kim Jong-il e un. Il tutto con un unico assordante obiettivo,  il consenso.

Lungo, lento, ritmato, scrosciante, a scena aperta, prolungato. Il battito delle mani inizia per volere di uno, cresce grazie a tanti e si spegne per volontà di tutti. La musica lo stimola, il teatro lo pretende al calare del sipario, il cinema lo gradisce ma non ne è dipendente, mentre la televisione lo ammaestra. Ma l’applauso può essere anche ironico. Ed è quello del Joker ai  poliziotti stolti. O liberatorio (e anche un po’ eccessivo), vedi quello degli italiani che ringraziano il pilota dell’aereo per averli portati sani e salvi a terra. O,ancora, inopportuno, ai funerali. E alla russa, nel quale l’oratore che ha terminato il proprio intervento si unisce all’applauso del pubblico,  per sottolineare come il merito sia sempre collettivo.

Ma c’è una cosa che più di tutte deve far riflettere. L’uso che ne ha fatto la politica italiana. Norberto Bobbio, nel suo La democrazia dell’applauso, aveva focalizzato il germe di ciò che sarebbe diventata nei decenni seguenti parte della politica e della società italiana. Ossia l’elezione – per acclamazione – di Bettino Craxi a segretario del Psi, nel 1984. Già, perché con l’ applauso e la standing ovation, un sovrano si allontana sempre più da un’ elezione democratica e si trasforma in un monarca assoluto. Poi è stato il tempo di Berlusconi. Sono passati vent’anni. Veline, soubrette, farfalline fuori e dentro il Parlamento hanno trasmesso il messaggio che fosse facile ottenere potere e consenso. Il merito e la fatica c’entravano poco. Bastava essere le persone giuste al momento giusto nel posto giusto. Un’illusione costata cara al Paese, rimasto inerme di fronte alle sfide che la recessione portava e offriva. Daniele Martinelli, uno degli influencer del Movimento Cinque Stelle, ha scritto: “In questo sultanato dell’applauso governato da un venditore di materassi in odore di tangenti e di mafia, insofferente ad ogni forma di dissenso, che bolla gli oppositori bugiardi e insulsi, ma che di fatto ha soldi fin sopra il parrucchino con i quali controlla le televisioni e gli umori dei suoi scendiletto, viviamo lo spettro della recessione che ci sta affogando in un sistema al collasso”.


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