mercoledì 20 marzo 2013

Salvatore Barra, un intellettuale nato a Partinico


Ho vissuto per tanti anni a Partinico, ho seguito e condiviso le lotte e la crescita del movimento della sinistra e insieme le sue contraddizioni e i suoi respiri revisionistici e, comunque, sempre innovatori e libertari. Tra le pietre di una città senza muri e senza centro storico, dove il fumo della Distilleria mostro della Signora Bertolino avvelena i polmoni e lo stomaco, ho costruito la mia idea delle cose e del modello di società umana più vicina ad una Democrazia Reale e dei diritti di tutti ed ho apprezzato, nella sua "ultima luce" Danilo Dolci e Mimì Bacchi, recentemente scomparso. Ho, in prima persona, cercato di costruire qualcosa di importante per il nucleo antico di questo Paese dei sogni traditi, la Commissione del Centro Storico e il censimento su scala scientifica di 5000 unità abitative con schedatura e foto, ancora oggi in uso all'UTC del Comune, la scuola materna di Via Vicenza e altre opere da architetto! Ho vissuto il momento migliore e quello peggiore( la sfiducia) della Giunta Cannizzo. Ho costruito ponti e amicizie che non possono venir meno nemmeno ora che vivo a Palermo. anche io sono stato segretario del circolo di Rifondazione " Peppino Impastato" e ho condiviso con Ninni, Toti, Giuseppe e tanti altri compagni lotte, dispute culturali, conquiste e sconfitte, ma non ho mai messo il "vil denaro"davanti agli uomini, agli animali e alle piante; come dice Papa Francesco, penso che la Terra non è nostra, ma ne dobbiamo curare la "salute" perchè siamo "custodi del Mondo" che un giorno lasceremo ai nostri figli che dovranno a loro volta custodirlo e lasciarlo ai loro eredi. Queste e tante altre cose ho maturato a Partinico, città non città, e oltre a un libello che potete trovare alla Biblioteca Comunale dal titolo Il Corso dei Mille ... e il compendio di un Convegno sul Disegno etnostorico del territorio e del centro storico di Partinico, ho maturato una curiosità per gli uomini e le storie che vivono e si disperdono in questo deserto dell'anima che ha il colore della sera. Così ho tratto la prima storia dal blog della Biblioteca popolare Barra per parlare di quest'uomo, di questo laborioso e lucido Totò!

Ugo Arioti

La cronistoria di Totò Barra o Salvatore Barra:


Salvatore Barra nacque a Partinico il 05/10/1934. La sua famiglia si componeva del padre, illustre medico specialista in medicina legale, e della madre, preside in istituti scolastici, prima a Partinico poi a Palermo. Egli era figlio unico. Concordi nelle decisione di educarlo alla più completa libertà intellettuale, mai i genitori tentarono di influenzare la sua personalità forzandola a scelte non consone all’indole sua. L’età della fanciullezza e della pubertà di Salvatore fu comunque particolarmente segnata dall’educazione impartitagli dalla madre che, donna piissima e di salda fede, cercò di indirizzarlo, con discrezione, al culto dei valori e degli ideali cristiani. In quegli anni frequentò perciò l’Azione Cattolica.

Maestri e professori di elevata cultura, come il docente di Lettere classiche Leonardo Lo Bianco ed altri studiosi del liceo “Umberto I”, gli diedero presto il gusto delle assidue letture, rimasto poi in Salvatore sempre vivo fino agli ultimi giorni di vita.

Interessato soprattutto ai problemi della storia, della filosofia, della politica, non tardò ad incontrarsi con la cultura marxista, tornata, nella nuova temperie creata dalla rinata democrazia italiana, a godere l’attenzione e il credito di numerosi intellettuali.

I dibattiti politici e la controversa valutazione del “socialismo reale” svegliarono in lui il desiderio di conoscere direttamente l’Unione Sovietica e i Paesi dell’Europa orientale. Viaggiò molto perciò in quell’area geografica, non per curiosità di turista, ma per confrontare la realtà di quel mondo con la rappresentazione che di esso veniva data, o per esaltarne il successo, o -come era costume della stampa “borghese”- per denunciarne il fallimento.

Il comunismo italiano volle conoscerlo alla “fonte”. Ebbe perciò colloqui con dirigenti di primo piano, conobbe personalmente Palmiro Togliatti ed ebbe con lui diversi incontri.


Operò poi nella realtà territoriale della provincia di Palermo e particolarmente a Partinico, dove il sociologo triestino Danilo Dolci, muovendosi dal suo epicentro situato a Trappeto, senza mai identificarsi con un partito politico o prenderne la tessera, dagli inizi degli anni Cinquanta era impegnato a denunciare le gravi ingiustizie sociali e ad informare il mondo intero sullo stato di arretratezza della popolazione di quel lembo dell’isola.

A fianco dei compagni partinicesi, e particolarmente di Cola Geraci e di Turiddu Termini, dirigente della Camera del lavoro, Salvatore condusse battaglie memorabili finalizzate al riscatto della classe contadina.

I benpensanti partinicesi gridarono allo scandalo, non avendo mai visto, prima di allora, a Partinico, un esponente di famiglia agiata (come egli era) impegnarsi decisamente nella lotta politica dalla parte dei “vinti” (come avrebbe detto Giovanni Verga). La scelta di Salvatore era invece motivata dalla ferma convinzione che il comunismo fosse l’unica strada da percorrere da parte di chi voleva il riscatto degli oppressi.

Serviva una rivoluzione senza violenza, che doveva scaturire, prima di tutto, dal rispetto della legalità, m non di una legalità formale, bensì dalla coscienza dei diritti fondamentali dell’uomo, che, riferiti a quei soggetti politici che sono i lavoratori (contadini, artigiani, operai ecc …), si conseguono soltanto se e quando essi partecipano a pieno titolo, tramite i loro rappresentanti, al governo della “res pubblica”.

Nella sua vita privata egli diede assiduamente testimonianza di fedeltà a questo ideale, resistendo alle suggestioni del mondo borghese, che rifiuta spesso di fatto (anche se a parole talvolta dice di accettarlo) il principio dell’eguaglianza. Qualunque tentazione di prepotenza o prevaricazione gli fu perciò sempre estranea, ma la sua passione civile si volge anche a contrastare, spesso con serio rischio, l’insorgere in altri di atteggiamenti oppressivi.

Fu uomo di cultura di notevole spessore, particolarmente sensibile alla musica e all’arte in genere. Appassionato di musica jazz in tempi nei quali questo genere musicale era largamente ignorato e sottovalutato, Salvatore vedeva in essa una delle espressioni più autentiche dell’anima degli afroamericani, e si compiaceva di constatare che il loro mondo irrompeva ormai sulla scena politica esigendo il pieno riconoscimento dei propri diritti.

Portò avanti per anni gratuitamente trasmissioni radiofoniche per “Radio città terrestre” di Danilo Dolci.

Leggeva poesia, parlava di musica facendo ascoltare selezioni di brani musicali, illustrava autori vari ecc …

Aveva il talento dell’improvvisazione e sapeva cogliere gli aspetti umoristici della vita e valutarne gli aspetti anche tragici.

Da studente universitario organizzò anche scenograficamente numerose feste della matricola, nel corso delle quali dava saggio del suo spirito satirico capace di creare situazioni di esilarante comicità. Sapeva raccontare barzellette come nessun altro, lasciando con il fiato sospeso gli ascoltatori. Si divertiva e faceva divertire compagni e amici e colleghi universitari.

Salvatore Barra era una persona priva di pregiudizi e per nulla classista, come dimostrò soprattutto nella scelta fondamentale della sua vita, quando si innamorò, nell’ambiente del Centro studi di Danilo Dolci, di Giovanna. Soltanto dopo seppe che era figlia di un contadino, ma questa scoperta, piuttosto che smorzare, rinsaldò i suoi sentimenti verso la fanciulla, che sposò poi il 3 gennaio 1966. Non mancarono, come era prevedibile, tentativi di dissuasione nei suoi confronti, ma essi valsero solo a mettere in evidenza la fermezza e la gioia con cui egli confermava la sua scelta.

Da Giovanna ebbe due figli, Edoarda e Vincenzo, che resero felici anche i nonni.

Giunto quasi sulla soglia della laurea in medicina, avendo superato quasi tutti gli esami, Salvatore piantò in asso quegli studi per dedicarsi totalmente agli altri suoi interessi culturali.

Lottò per il riconoscimento dei diritti della classe operaia e contadina, senza ostentazioni di protagonismo, ricoprendo ruoli che esigevano maggiore sacrificio senza garantire apparenti riconoscimenti.

Odiò ogni atteggiamento mafioso, e fu felice quando, nella veste di giudice popolare nel maxiprocesso alla mafia, diede il meglio di sé, dimostrando di possedere saggezza e coraggio, assai più di quanto molti fossero disposti a riconoscergli.

Seppe pensare, seppe agire, seppe dare senza egoismo.

Fu modesto sino alla fine, che arrivò il 15 agosto 2001.


 

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