Ho vissuto per tanti anni a Partinico, ho seguito e
condiviso le lotte e la crescita del movimento della sinistra e insieme le sue
contraddizioni e i suoi respiri revisionistici e, comunque, sempre innovatori e
libertari. Tra le pietre di una città senza muri e senza centro storico, dove
il fumo della Distilleria mostro della Signora Bertolino avvelena i polmoni e
lo stomaco, ho costruito la mia idea delle cose e del modello di società umana
più vicina ad una Democrazia Reale e dei diritti di tutti ed ho apprezzato,
nella sua "ultima luce" Danilo Dolci e Mimì Bacchi, recentemente
scomparso. Ho, in prima persona, cercato di costruire qualcosa di importante
per il nucleo antico di questo Paese dei sogni traditi, la Commissione del
Centro Storico e il censimento su scala scientifica di 5000 unità abitative con
schedatura e foto, ancora oggi in uso all'UTC del Comune, la scuola materna di
Via Vicenza e altre opere da architetto! Ho vissuto il momento migliore e
quello peggiore( la sfiducia) della Giunta Cannizzo. Ho costruito ponti e
amicizie che non possono venir meno nemmeno ora che vivo a Palermo. anche io
sono stato segretario del circolo di Rifondazione " Peppino
Impastato" e ho condiviso con Ninni, Toti, Giuseppe e tanti altri compagni
lotte, dispute culturali, conquiste e sconfitte, ma non ho mai messo il
"vil denaro"davanti agli uomini, agli animali e alle piante; come
dice Papa Francesco, penso che la Terra non è nostra, ma ne dobbiamo curare la
"salute" perchè siamo "custodi del Mondo" che un giorno
lasceremo ai nostri figli che dovranno a loro volta custodirlo e lasciarlo ai
loro eredi. Queste e tante altre cose ho maturato a Partinico, città non città,
e oltre a un libello che potete trovare alla Biblioteca Comunale dal titolo Il
Corso dei Mille ... e il compendio di un Convegno sul Disegno etnostorico del
territorio e del centro storico di Partinico, ho maturato una curiosità per gli
uomini e le storie che vivono e si disperdono in questo deserto dell'anima che
ha il colore della sera. Così ho tratto la prima storia dal blog della
Biblioteca popolare Barra per parlare di quest'uomo, di questo laborioso e
lucido Totò!
Ugo Arioti
La cronistoria di Totò Barra o Salvatore Barra:
Salvatore Barra nacque a Partinico il 05/10/1934. La sua
famiglia si componeva del padre, illustre medico specialista in medicina
legale, e della madre, preside in istituti scolastici, prima a Partinico poi a
Palermo. Egli era figlio unico. Concordi nelle decisione di educarlo alla più
completa libertà intellettuale, mai i genitori tentarono di influenzare la sua
personalità forzandola a scelte non consone all’indole sua. L’età della
fanciullezza e della pubertà di Salvatore fu comunque particolarmente segnata
dall’educazione impartitagli dalla madre che, donna piissima e di salda fede,
cercò di indirizzarlo, con discrezione, al culto dei valori e degli ideali
cristiani. In quegli anni frequentò perciò l’Azione Cattolica.
Maestri e professori di elevata cultura, come il docente di
Lettere classiche Leonardo Lo Bianco ed altri studiosi del liceo “Umberto I”,
gli diedero presto il gusto delle assidue letture, rimasto poi in Salvatore
sempre vivo fino agli ultimi giorni di vita.
Interessato soprattutto ai problemi della storia, della
filosofia, della politica, non tardò ad incontrarsi con la cultura marxista,
tornata, nella nuova temperie creata dalla rinata democrazia italiana, a godere
l’attenzione e il credito di numerosi intellettuali.
I dibattiti politici e la controversa valutazione del
“socialismo reale” svegliarono in lui il desiderio di conoscere direttamente
l’Unione Sovietica e i Paesi dell’Europa orientale. Viaggiò molto perciò in
quell’area geografica, non per curiosità di turista, ma per confrontare la
realtà di quel mondo con la rappresentazione che di esso veniva data, o per
esaltarne il successo, o -come era costume della stampa “borghese”- per
denunciarne il fallimento.
Il comunismo
italiano volle conoscerlo alla “fonte”. Ebbe perciò colloqui con dirigenti di
primo piano, conobbe personalmente Palmiro Togliatti ed ebbe con lui diversi
incontri.
Operò poi nella
realtà territoriale della provincia di Palermo e particolarmente a Partinico,
dove il sociologo triestino Danilo Dolci, muovendosi dal suo epicentro situato
a Trappeto, senza mai identificarsi con un partito politico o prenderne la
tessera, dagli inizi degli anni Cinquanta era impegnato a denunciare le gravi
ingiustizie sociali e ad informare il mondo intero sullo stato di arretratezza
della popolazione di quel lembo dell’isola.
A fianco dei compagni
partinicesi, e particolarmente di Cola Geraci e di Turiddu Termini, dirigente
della Camera del lavoro, Salvatore condusse battaglie memorabili finalizzate al
riscatto della classe contadina.
I benpensanti
partinicesi gridarono allo scandalo, non avendo mai visto, prima di allora, a
Partinico, un esponente di famiglia agiata (come egli era) impegnarsi
decisamente nella lotta politica dalla parte dei “vinti” (come avrebbe detto
Giovanni Verga). La scelta di Salvatore era invece motivata dalla ferma
convinzione che il comunismo fosse l’unica strada da percorrere da parte di chi
voleva il riscatto degli oppressi.
Serviva una
rivoluzione senza violenza, che doveva scaturire, prima di tutto, dal rispetto
della legalità, m non di una legalità formale, bensì dalla coscienza dei diritti
fondamentali dell’uomo, che, riferiti a quei soggetti politici che sono i
lavoratori (contadini, artigiani, operai ecc …), si conseguono soltanto se e
quando essi partecipano a pieno titolo, tramite i loro rappresentanti, al
governo della “res pubblica”.
Nella sua vita
privata egli diede assiduamente testimonianza di fedeltà a questo ideale,
resistendo alle suggestioni del mondo borghese, che rifiuta spesso di fatto
(anche se a parole talvolta dice di accettarlo) il principio dell’eguaglianza.
Qualunque tentazione di prepotenza o prevaricazione gli fu perciò sempre
estranea, ma la sua passione civile si volge anche a contrastare, spesso con
serio rischio, l’insorgere in altri di atteggiamenti oppressivi.
Fu uomo di cultura di
notevole spessore, particolarmente sensibile alla musica e all’arte in genere.
Appassionato di musica jazz in tempi nei quali questo genere musicale era
largamente ignorato e sottovalutato, Salvatore vedeva in essa una delle
espressioni più autentiche dell’anima degli afroamericani, e si compiaceva di
constatare che il loro mondo irrompeva ormai sulla scena politica esigendo il
pieno riconoscimento dei propri diritti.
Portò avanti per anni
gratuitamente trasmissioni radiofoniche per “Radio città terrestre” di Danilo
Dolci.
Leggeva poesia,
parlava di musica facendo ascoltare selezioni di brani musicali, illustrava
autori vari ecc …
Aveva il talento
dell’improvvisazione e sapeva cogliere gli aspetti umoristici della vita e
valutarne gli aspetti anche tragici.
Da studente
universitario organizzò anche scenograficamente numerose feste della matricola,
nel corso delle quali dava saggio del suo spirito satirico capace di creare
situazioni di esilarante comicità. Sapeva raccontare barzellette come nessun
altro, lasciando con il fiato sospeso gli ascoltatori. Si divertiva e faceva
divertire compagni e amici e colleghi universitari.
Salvatore Barra era
una persona priva di pregiudizi e per nulla classista, come dimostrò
soprattutto nella scelta fondamentale della sua vita, quando si innamorò, nell’ambiente
del Centro studi di Danilo Dolci, di Giovanna. Soltanto dopo seppe che era
figlia di un contadino, ma questa scoperta, piuttosto che smorzare, rinsaldò i
suoi sentimenti verso la fanciulla, che sposò poi il 3 gennaio 1966. Non
mancarono, come era prevedibile, tentativi di dissuasione nei suoi confronti,
ma essi valsero solo a mettere in evidenza la fermezza e la gioia con cui egli
confermava la sua scelta.
Da Giovanna ebbe due
figli, Edoarda e Vincenzo, che resero felici anche i nonni.
Giunto quasi sulla
soglia della laurea in medicina, avendo superato quasi tutti gli esami,
Salvatore piantò in asso quegli studi per dedicarsi totalmente agli altri suoi
interessi culturali.
Lottò per il
riconoscimento dei diritti della classe operaia e contadina, senza ostentazioni
di protagonismo, ricoprendo ruoli che esigevano maggiore sacrificio senza
garantire apparenti riconoscimenti.
Odiò ogni
atteggiamento mafioso, e fu felice quando, nella veste di giudice popolare nel
maxiprocesso alla mafia, diede il meglio di sé, dimostrando di possedere
saggezza e coraggio, assai più di quanto molti fossero disposti a
riconoscergli.
Seppe pensare, seppe
agire, seppe dare senza egoismo.
Fu modesto sino alla fine, che arrivò
il 15 agosto 2001.
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